"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

Degas Danza Disegno di Paul Valéry


 

 

 

12.  Germania 1946

 

 

 


 

- Voi altri tedeschi, per dormire dovreste rifarvi la coscienza.

- Io l’ho a posto la coscienza, ho un nuovo Fürher…  tu!... Heil, John!

(B. WILDER, Scandalo internazionale)

 

Sotto le rovine delle nostre città devastate, sono state definitivamente sepolte le ultime delle cosiddette conquiste del XIX secolo borghese.

(J. GOEBBELS, cit. in H. R. Trevor-Ropper, The last days of Hilter)

 

“Nei resoconti di chi non è riuscito a salvare altro che la pelle è costantemente insito un carattere discontinuo, una peculiare qualità erratica, che è a tal punto inconciliabile con una normale istanza della memoria da assumere facilmente i tratti dell’invenzione e del romanzo d’appendice.”

(W. G. SEBALD, Storia naturale della distruzione)

 

Il massimo del saper fare lo trovi già nel galateo: dire tutto con poco, cogliere il comico sopratutto nel proprio tragico, e mai fare d’una storia il pretesto per una predica o per una performance. – In altre parole, e come raccomandava Proust, mai lasciare sul regalo “il cartellino del prezzo”! 

Sulla Germania massacrata e marcescente del 1946, Billy Wilder con Scandalo internazionale (A Foreign Affair) regala tutto nel consueto quasi niente d’una commedia da un dollaro e venticinque a biglietto: manufatto il cui dovere essenziale è accontentare platee affamate di spensieratezza, anche se con “risate in posti spiacevoli”. 

Berlino ridotta a polvere la vedi subito all’inizio: “un unico piano sequenza. Rovine, rovine, solo rovine” (C. CROWE, Conversazioni con Billy Wilder). - A immagini atroci, si aggiungono parole crudeli; tanto che, nella versione italiana, il doppiaggio edulcora fino alla censura il cinismo antitedesco dei delegati che il parlamento americano ha mandato a controllare la tenuta morale dei soldati. 

Marlene (nel film, Erika von Schlütow), cantante del malfidato Lorelei, vive in un appartamento che è una rovina appena migliore di tante altre. La scala è crollata, le finestre non hanno vetri, le porte sono sfondate, non c’è né un letto né un tavolo, i vestiti, pochissimi, sono appesi in un armadio piccolo e sbilenco…

E’ quell’orizzonte d’esistenza che anche lei chiama - e con l’orgoglio - “sopravvivenza”: non possono esserci pensieri che per il cibo, il materasso, le calze, e – moltissimo – per il sapone. La capacità di decoro ed eleganza in tanto sfascio è eroica e spavalda. 

Questa Signora di un Vogliamo vivere alla rovescia (E. Lubitsch, 1942) ostenta con classe suprema un carattere tedesco essenziale – fatalista e attivo, lucido sul presente e incapace di rimorsi per il passato - che ritroverai anatomizzato a dovere appena nelle considerazioni recentissime di Sebald. I tedeschi non hanno contemplato nella guerra neppure la loro tragedia Bombardamenti anglo-americani o stupri russi, benché atrocissimi entrambi, furono subiti come segni d’un Fato anonimo, che con genericità del tutto sintomatica, si chiamò “guerra”: “Sembra che nessuno all’epoca abbia scritto o ricordato qualcosa. E anche se si chiedeva alla gente, era come se nelle loro teste fosse stato cancellato tutto.” (W. G. SEBALD, Gli anelli di Saturno).

 Perché i tedeschi non pensarono nulla? - “La reazione quasi naturale, dettata dalla consapevolezza del proprio disonore e da un senso di sfida nei confronti dei vincitori, era tacere e volgere gli occhi altrove”  (W. G. SEBALD, Storia naturale della distruzione, Adelphi 2004). – E’ un caso che vale come un emblema universale, perché “la capacità che gli uomini hanno di dimenticare ciò di cui non vogliono prendere atto, di distogliere lo sguardo da quanto sta loro davanti agli occhi, fu di rado messa così bene alla prova come nella Germania di quegli anni.” (Ibid.).

E qui è evidente che Sebald non deve aver pensato all’Italia, che di botto chiamò i nemici che li liberarono della guerra Alleati.

 


 

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