"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

              Marlene Dietrich: parole per la Musa


 

1.  L'invisibile 

 

 


…Adios!” 

(Ultima battuta di Marlene Dietrich

in L'infernale Quinlan di Orson Welles)

 

Vecchio sospetto che l’arte, qualunque arte, nella sua essenza sia un gioco con l’invisibile. Non è vero che la pittura come nel Dorian Gray debba fermare l’istante del giovane Faust: fosse quella, la scommessa sarebbe in fondo ancora facile e basterebbe essere bravi… - E invece si vede un autoritratto apparentemente sbrigativo del vecchio Rembrandt, o i muretti scoloriti di un canale di Venezia dipinti da Francesco Guardi, e senti che lì c’è - nell’immagine immobile - il tempo invisibile che passa.

Nell’Infernale Quinlan (1957), titolo italiano che cancella il disturbo metafisico dell’originale Tocco del male, Welles riprende – e Marlene gli dona – l’invisibile: che qui è l’intimità.

 

 

Ci sono amori che lasciano davvero un per sempre, quel “grado eroico della conoscenza” (R. L. Stevenson, Weir) che non ha niente da chiedere, tanto meno il futuro, che del resto non c’è più. - La vita è trascorsa da un’altra parte, si è scomposta e sfrangiata per altri tradimenti: ora si torna solo a naufragare – estrema fortuna – sotto gli occhi dell’unica che può leggerne il destino come una sola linea nella mano. – Nel film tutto questo è dato in meno di quattro minuti: quasi tutti per gli sguardi silenti tra Quinlan, poliziotto disfatto e contaminato dalla stessa lotta contro il Male, e Tanya, chiromante zingara: tutto il passato in cui si sono perduti l’uno per l’altro ognuno lo legge all’istante, nel loro corpo; e così ci si guarda, oltre il caos della vita, che del resto non cè più. Tutti e due sanno nella carne che tutto è naufragio (la stessa casa di Tanya sembra quella di una Robinson: piena di ammenicoli forse davvero casuali, sopravvissuti a chissà quali naufragi, esilii, distrazioni...). Ora, inutile e vero, torna a rivelarsi tra loro - lo avevano dimenticato? - un filo laconico e essenziale, avulso, segreto, che esiste senza bisogno di esistere, allo stesso tempo impraticabile, inconvertibile in “vita”, un silenzio preciso che va fino alla morte e oltre...  un regista che ha saputo riprendere questo è al punto oltre il quale non c'è niente.


 

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