Eleonora Duse, dignitosa randagia di razza, si
rinforzò fin dalla nascita: a piedi, su un carro di comici, su
lenti treni fumosi e piroscafi traballanti. L’attrice custodì e
curò le pièces che indossava sul palcoscenico; crebbe,
diede loro vita forte e passione accesa.
Difese persino
Il Fuoco, romanzo di
D’Annunzio dov’egli riversò,
in ribollenti pagine, l’amore tra Stelio e la Foscarina
vaneggiando imbarazzanti, gelosi segreti d’alcova rimaneggiati
con vezzi estetizzanti e vitalismo decadente. Nell’attrice batteva
cuore grande e riluceva la sana autorità che innalza e, pur
bruciata nell’intimo, Eleonora difese
Il Fuoco come sempre aveva protetto l’arte da
rapinose mani. Il solo suo lamento si sciolse in una lettera con
parole cedute alla carta con l’originale grafia che l’attrice
adottava negli epistolari più appassionati, precorrendo tecniche
futuriste:
‘Il
solo grande – profondo dolore da Monaco in poi – fu uno
solo : eccolo :
-
il segreto
donato, alla folla.
- Ognuno
lo diceva, e
lo
sapeva,
dirai – ma –
-ah – no! –
il
segreto era
nostro
ora!
c’est fait...’
(da una lettera di E. Duse a
D’Annunzio datata 21 maggio 1900)
L’amore e la collaborazione con
il famoso scrittore durò tra Sternstunde e spaventose
burrasche circa dieci anni. Correva l’anno
1894 quando si conobbero: la Duse aveva trentasei
anni e la fama di migliore attrice europea; il trentenne Gabriele
era il poeta più famoso e discusso d’Italia e pensò di tentare la
via della produzione teatrale nella sua volubilità endogena e
istrionico estro.
L’incontro fu fatale, complice
la città dove la Duse, affacciandosi sul Canal Grande, non
lontano dalla Chiesa della Salute, vedeva tetti, cupole,
campanili, altane e sul retro il Canale della Giudecca e l’immensa
laguna. Poi furono Firenze, Roma, Albano Laziale, Assisi ma
soprattutto Settignano alla “Capponcina”, l’impreziosita dimora.
Per D’Annunzio Eleonora diede
vita (e finanziò senza risparmio)
Sogno di una notte di primavera,
La Gioconda, La Gloria,
Francesca da Rimini.
La città
morta nacque
nel 1896 dalle affettuose
insistenze dell’attrice ma il Vate, ingolosito da una prima
parigina, aveva già promesso l’opera a
Sarah Bernhardt che la rappresentò, in prima mondiale,
nel gennaio del 1898. La Duse
continuava a serbare un dignitoso silenzio e voleva in cuor suo
contribuire al successo dello scrittore che amava. Quando il 2
marzo 1904 Mila di Codra
della Figlia di Jorio
fu interpretata da Irma Gramatica
al Lirico di Milano, la Duse, chiusa in una camera dell’Hotel
Bristol a Roma, scriveva all’infedele :
‘ Ecco – son quasi
le due di notte -
La
vittoria è per te!-
L’ansietà cessa – l’animo mi ritorna – Hai
vinto! e benedico
che
per me nulla perdesti’.
Quando l’attrice gli comunicò la
decisione di non recitare più i suoi drammi, egli le inviò una
lettera che pare quasi un’apologia delle sue azioni:
Il bisogno imperioso
della vita violenta, della vita carnale, del piacere,
del pericolo fisico,
dell’allegrezza mi ha tratto lontano.
E tu – che talvolta ti sei
commossa sino alle lacrime dinanzi a un mio movimento
istintivo come ti commuovi dinanzi alla fame di un
animale... tu puoi farmi onta di questo mio bisogno?
La Duse rispose con parole di
grande umanità ma il sogno era svanito ed insieme ad esso l’idea
di un grande teatro sulle rive del lago di Albano. Per più di
dieci anni non si sarebbero scritti. Durante la grande guerra
avrebbero ripreso il loro carteggio.
Morì prima lei durante l’ultimo
vagabondaggio negli Stati Uniti, la notte del lunedì di Pasqua
del 1924, le ultime parole in
scena furono ‘...sola, sola’, le ultime nella vita, allo “Shenley
Hotel” di Pittsburgh : ‘Bisogna muoversi! Dobbiamo partire!
Agire, agire!’.