“da
le persone - c'hanno intendimento”
(G.
CAVALCANTI, Donna me prega)
La
difesa delle arti dagli infiniti tribunali del linguaggio comune è
sempre esistita: per restare agli esempi per noi canonici, quasi all’origine
della nostra letteratura romanza, gli Stilnovisti ebbero prima di
qualunque altra fama di spocchiosi alteri, di setta snob e parvenu
con immotivabilissima puzza sotto al naso. - E loro, per rivalsa o per
se stessi, tatragoni a tenersi oscuri: altro che i giochini concettuali delle
avanguardie del Novecento più adolescenzialmente estremo: la gemma
cavalcantiana Donna me prega rasenta
indecifrabilità del resto accuratamente volute (cfr.
M. Corti, La felicità mentale); così, nel suo
universalismo, la Commedia di
Dante cerca via via - mimando lo
stesso giudizio di Dio - la perdita dei suoi lettori peggiori, e
neanche solo per ridurli a piccioletta barca (Paradiso,
II, 1), ma addirittura per invitare quei pochi a
desistere dall’andare avanti, se non nutriti abbastanza e per tempo al pan degli
angeli (Ib., 11): che non si tratti di parole vane lo
dimostra poi quel canto stesso, dove Dante impone ai lettori la prova concettosissima - quaestio erudita e
speciosa - dell’origine delle macchie lunari: prova spietata data
dall’esposizione di una dottrina dal virtuosismo pirotecnico, in una
poesia dunque del tutto mentale...
In
una delle sue rivalse innumerevoli, del resto, la critica si è più o
meno sempre vendicata di ciò aggirando il canto della Luna e
riducendolo a zeppa ben poco felice, a cedimento a tecnicismi da
erudito in troppo libera uscita.
Saltando
al Petrarca più lirico e celebre,
però, poco cambiano le cose: il primo sonetto del Canzoniere
parla subito pessimamente del possibile rapporto tra il lirico autore e
il popol tutto - sapere che si scrive solo a chi per prova
intenda amore (Canzoniere,
I) è
un altro modo di scrivere per nessuno.