Si
finirà mai di rendere il reale il più vicino possibile
al possibile?
Almeno, l’arte, che è più lontana dalla morte della vita, possiede il
privilegio poter abolire lo scandalo della scelta, di lasciar coesistere
le mille possibilità che la freccia banale del tempo
massacra...
Viene in mente il dottore dell’Insostenibile
leggerezza dell’essere, che non sa scegliere tra una vita con Teresa e una senza,
perché - ahimé - una sola è la vita. - Se non la vita,
l’arte sa come truccare la natura irremeabile
(G. Leopardi, Zibaldone) del
tempo, ed essere più intelligente della vita stessa, producendo la
coesistenza dei possibili: “una poesia
con varianti è uno scandalo per l’opinone comune e volgare. Per me, è un merito. L’intelligenza è definita dal numero delle varianti”
(Quaderni, vol.
I).
Che
le varianti facciano o meno una gerarchia che si arrampica dall’imperfetto al capolavoro compiuto sarà il problema
su cui indugiare a piacere. - Foscolo, per esempio, proponeva platonicamente allo studio dei giovani
poeti, come caso mirabile di un’ascesa perfetta,
le tre versioni dell’Orlando
Furioso:
lì da imparare tutto un mestiere, scrutando come il poeta dipana il filo giusto fuori dalla selva oscura
delle infinite iniziali imperfezioni, fino a far emergere il testo compiuto.
- Che però Ariosto non sentì affatto tale: si pensi solo al dramma dei cinque
canti espunti!...
Le varianti poi complicano ancora di più il mistero nel caso che
l'autore vada - nessun pericolo è mai escluso - a peggiorare il
testo: eclatante il caso delle Gerusalemmi del Tasso, la cui versione migliore - la babele dei lettori una volta tanto unanime! - è quella che fu salvata
giusto da un atto di rapineria inqualificabile editoriale,
scippando l’autore nel pieno del suo work
in progress! - E almeno Giovanni
Macchia non ha avuto remore a vedere nel ventennale lavorìo di Manzoni sui
Promessi Sposi un peggioramento irreparabile rispetto alla freschezza galoppante dell’ispiratissimo Fermo
e Lucia!
Da
questa deriva nel peggio, proprio Valéry,
cultore della variante infinitamente migliorativa, sarebbe stato
tutt'altro che esente, almeno secondo il saggio di Nathalie
Sarraute,
Valéry
e l’elefantino
(Einaudi, 1988).
Ma
torniamo alla questione generale.
L’infinto variare
di varianti ha il suo testo supremo, e dunque canonico paradossalmente,
nel primo libro compiuto della poesia europa: il Canzoniere di Petrarca. - Gianfranco
Contini, che lo studiò mirabilmente, seppe mostrarlo come un cantiere fino alla
fine aperto, dove le varianti in corso d’opera sono la costante del valéryano architetto che mai
smette di lavorare a un’opera che sempre più finisce col coincidere con il proprio
interminabile Sé.
Petrarca
lavorò - clandestino e costante - per un trentennio a un’opera che si cristallizzò in una forma ferma solo per il caso
della morte del suo autore. - Non solo: perché le 366 poesie di
quel libro ambiguo e segreto, a loro volta non sono che variazioni sulla
stessa amorosa dolenza... non è certo nel significato la suspense che
permette il discorso circolare di un vecchio innamorato:
La
dichiarazione non verte sulla confessione dell’amore, ma sulla
forma, commentata all’infinito, della relazione amorosa (...).
Parlare amorosamente, significa dissipare senza limite, senza
soluzione di continuità; vuol dire praticare un rapporto senza
orgasmo. Forse esiste una forma letteraria di questo coitus
reservatus: il preziosismo.
(R.
BARTHES; Frammenti di un discorso amoroso)