“...nel
pensier mi fingo...”
(G.
Leopardi, Infinito)
La densità ontologica - la verità!
- di una poesia è il suo trucco migliore. Si esce dalla condizione
“costituzionalmente impura” (Quaderni,
vol. II) del comune babelico blablà solo
rubando strenuamente dalla musica, l’irraggiungibile.
Che sia Céline o un parnasiano, altra strada non c’è: solo la
pratica appassionata dei mille erotici giochetti dell’eufonia può arrivare a
donare l’apparenza d’“una sorta di necessità nella concatenazione
delle sillabe” (Varietà).
Lucidità di un nipotino
lucidissimo di Roscellino: in esilio da tutte le rose del
mondo, sempre “nomina nuda tenemus” (U.
ECO, Il nome della rosa)... - I nomi non sono cristalli
che specchiano le cose: se davvero fosse così, tutto si direbbe già
perfettamente da sé, e saremmo tutti bravi come Saffo a dire l’amore o come Dante a dire ogni cosa.
Mentre il mondo degli
uomini è la casa della convenzione, di grammatiche economiche, dello standard
non vero ma discretamente efficace: giusto “a forza d’arte” (Varietà)
qualcosa si sfanga.