“...in
ascolto dell'opinione del testo, fino al punto che questa si
faccia intendere
in
modo inequivocabile e ogni comprensione solo presunta venga eliminata”
(H.
G. GADAMER, Verità e metodo)
Ah,
l’“insostenibile nichilismo ermeneutico” di Paul Valéry!
Così leggi in Verità e metodo
di H. G. Gadamer,
librone ecumenico e sistematico, conciliante bibbia
dell’ermeneutica tutta tesa a “urbanizzare” (Habermas)
ardui vortici e aspri
vertici heideggeriani. Ecco: lì nessuno subisce stroncatura –
sta in un paio di righe! – paragonabile a quella di Valéry
l’inafferrabile!
Il
punto potrebbe perfino apparire démodé: Gadamer infatti crede al
“genio” come al solo creatore plausibile dell’arte, almeno lì
dove ci troviamo a contemplare opere più perfette e inappellabili
d’una sentenza di Cassazione. – Valéry invece trova che il
concetto di “genio” sia una superstizione che può sembrare
persuasiva “non a chi produce ma a chi giudica”: “là dove
l’osservatore e l’interprete vanno alla ricerca di un mistero
più profondo [gli artisti invece] gli artisti invece scorgono
possibilità operative e problemi tecnici” (G.
H. Gadamer, Verità e metodo; e anche Attualità
del bello).
Ecco:
pur nel fatale ‘crepuscolo del Genio’ che
contraddistinguerebbe l’arte dell’ultima era, Valéry sarebbe
colpevole per eccesso di abdicazione rispetto alla sacrale
veggenza dell’arivtista ottocentesco. Altro che la nostalgica
perdita dell’aura di Baudelaire… qui di certe corone
d’alloro si rimandano subito al mittente come i kit di Wanna
Marchi: “a volte mi sono definito versificatore,
giacché questa parola è chiara mentre poeta non lo è” (Quaderni,
vol. I).
Così,
se per Gadamer resta invece chiaro che non si può “intendere la
differenza tra il prodotto artigianale
e la creazione artistica se si prescinde dal concetto di
genio” (Attualità del bello),
per Valéry è almeno altrettanto evidente che, dal punto di
vista di Leonardo, la Giocanda
è prima di qualunque altra cosa un problema di buono/cattivo
artigianato, rispetto al quale ogni possibile sublime è
oltre la realtà sperimentabile come per un buddista il Nirvana
fuori del circolo delle reincarnazioni.
Il genio, evidentemente, è geniale. La tautologia
gli si confà a pennello, come in fondo a tutto quanto possa
apparirci essenziale: dio, lo zero, la morte, l’amore, il fato,
l’idiozia… - Vien voglia allora sospendere la diàtriba su una
frase di Baudelaire (un
genio?), che nei Diari intimi
giura che un lungo intenso lavoro potrà solo dare ottimi frutti.