“...una
              statua congolese, una maschera del Benin indicano timidamente come
              la
              parola arte sia in realtà un eufemismo sociale”
              (G.
              MANGANELLI, Salons)
               
              L’essenziale
              anonimità della creazione è qualcosa che l’artista ha
              saputo sempre: l’autore è una mano, un transito di chissà che.
              - Giusto la superstizione di tempi così romantici da venerare
              autori anziché opere (se un quadro è un Raffaello vale un tot,
              altrimenti molto meno) potrebbe renderci l’idea ostica. Ma un
              pelo più in là di tanto senso comune, non scandalizzerebbe
              nessuno: un pittore zen, un miniaturista provenzale, un orafo
              arabo, un compositore di gregoriano, uno dei tanti aedi riassunti
              nel nome di Omero, uno dei mille autori delle “Mille e una
              Notte”, Johann Sebastian Bach, un petrarchista
              rinascimentale, Paul Valéry, uno scultore di Chartres, un
              drammaturgo elisabettiano (è “esistito” Shakespeare?), Simone
              Weil…
              In
              realtà, la congettura che esista un “Autore”,
              michelangiolesco e microscopico Deus artistico, è durata
              poco: come il comò, ora sembra molto Ottocento. Già in quel
              fiume di pensieri che scaturisce tra Schopenhauer e Nietzsche, per
              scorrere fino alla psicoanalisi (per Lacan chi parla/scrive è il
              linguaggio stesso), la bugia polpacciosa del ”genio” va gambe
              all’aria.
              Il
              Leopardi giocoso delle Operette Morali aveva aggiunto
              qualcosa che tornerà sempre in quel leopardiano divertentissimo e
              angosciato che è stato Manganelli: non solo l’autore è uno
              degli infiniti nodi possibili nella ragnatela di una “retorica”,
              comune a una cultura come a una colonia di polipi il suo cespo
              di corallo: in realtà, l’ “autore” neppure sa bene
              ciò che fa quando scrive, né cosa esprima, ammesso che poi lo
              faccia e che ci tenga. 
              Su queste ossessioni ci sono almeno due capolavori
              tra gli “improvvisi” di Salons:
              “La recita di esistere” e forse soprattutto“Geometria
              dell’esorcismo”.