Conrad
non era né Dickens né Kipling, e dunque pochi soldi dai suoi libri.
Così per molti anni. Eppure piaceva a Galsworthy, a Henry James, a
H.G. Wells: la cosa aiutava a toccare il cielo con un dito, ma non
pagava l’affitto.
Le
cose migliorarono un po’ quando, dal 1902, grazie anche all’interessamento
di Henry James, il Royal Literary Fund pensò bene di passargli una
piccola pensione di 300 sterline, divenute 500 nel 1905.. Soprattutto,
l’agente Pinker fu bravo a ottenere economicamente il massimo per
uno scrittore non solo genialmente sperimentale, il che è già grave,
ma ispido e complicato. Pinker vendette le opere di Conrad sempre
almeno due volte: prima a riviste che le pubblicavano a puntate e
poi all’editore del libro; in più Pinker si premurò sempre che Conrad
avesse editori diversi già nei paesi anglofoni: e dunque uno per l’Inghilterra
e uno per gli Stati Uniti, mossa che risultò vincente.
Intanto
però le tirature dei romanzi restavano basse e le ristampe rare: Conrad
era passato dalle 1000 copie dell’esordio con “La follia di Almayer”,
alle 2-3000 copie, con poche ristampe, del pur prestigioso editore
Blackwood di Liverpool, col quale pubblicò dal 1897 al 1902 e poi
di Methuen, editore de “L’agente segreto” nel 1907 e di “Sotto
gli occhi dell’Occidente” nel 1911.
“Sotto
gli occhi dell’Occidente”
non solo rese pochissimo, ma costò a Conrad come nessun altro libro:
la stessa notte della lite con Pinker per il suo rifiuto di far corrispondere
alla consegna del primo manoscritto l’ennesimo anticipo, Conrad ebbe
un attacco di gotta devastante che gli morse tutto il corpo. Fu l’inizio
di un crollo totale che lo bloccò a letto, nello stesso studiolo in
cui aveva scritto il romanzo, per quattro mesi. Ecco la lettera che
la moglie scrisse all’editore Blackwood:
“Il
romanzo è finito ma la penale va pagata. Mesi di tensione nervosa
gli hanno fatto venire un bell’esaurimento. Il povero Conrad sta malissimo
e il Dr Hackney dice che ci vorrà un bel po’ di tempo prima che sia
in grado di fare qualcosa che richieda uno sforzo mentale (…). Il
manoscritto è completo ma non corretto e lui rifiuta ostinatamente
che perfino io lo tocchi: è lì sullo scrittoio ai piedi del letto
e lui rivive le scene del romanzo e conversa con i personaggi (…)
lui, che di solito è tanto depresso dalla malattia, sostiene di non
essere malato e accusa me e il dottore, dice che siamo cercando di
metterlo in manicomio.”