“Les stérilités des écrivans nerveux”
le chiamò Baudelaire, aridità che Conrad, lavoratore dalla
dedizione marziale e patetica, attraversò tutte.
Anche
se questa è una lettera di undici anni prima, il quadro che traccia
varrà fino alla fine: “Ogni
mattina mi siedo religiosamente al tavolino, e vi rimango seduto per
otto ore al giorno – e tutto quello che faccio è stare seduto (…).
Ci vuole tutta la mia forza d’animo e capacità di autocontrollo per
non sbattere la testa contro il muro. Avrei voglia di mettermi a ululare
e sbavare dalla bocca, ma non oso per paura di svegliare il bambino
e allarmare mia moglie”.
In
un’altra lettera, racconta che, per interrompere il suo scrivere “with
difficulty, slowly, crossing out constantly” basta il chiasso
dei figli, l’abbaiare del cane, come qualunque altro rumore della
casa, e questo dover lasciar cadere la penna
“ten times in the course of the day is fatal”…
Lo
scrittore nervoso doveva ben far filtrare oltre la sua porta chiusa
le sue angosce, se la moglie raccontò poi la stessa cosa:
"I
giorni, le settimane, i mesi talvolta, in cui Conrad non riusciva
a scrivere nemmeno una riga, erano quelli che ci recavano maggiore
angoscia e preoccupazione. Infinite volte ho cercato di indurlo a
scacciare completamente il lavoro dalla mente e a venire a fare due
passi con me, suggerendogli che il riposo gli avrebbe fatto bene
alla mente.
Conrad non si lasciava assolutamente persuadere. Dichiarava sempre
che doveva star seduto immobile ad aspettare che venisse l’ispirazione.”
Ogni
tanto però Jessie l’ebbe vinta: allora Conrad le concedeva, tra un
deserto di parole e l’altro, qualche gita in calesse.