Mentre
scrive “Il
compagno segreto”, Conrad compie 52 anni.
E’ una ragione in più perché sia un giorno come tutti gli altri, dal
momento che non voleva mai che si festeggiasse il suo compleanno.
Conrad è a metà della sua vita di scrittore: in una lettera aveva
chiamato il 1909 il suo “quattordicesimo anno”; gliene resteranno
altri quindici.
Abita
con la moglie e i due figli in un cottage del Kent di sei stanze,
tutte piccole. Il suo studio è il posto più angusto e più costipato
di cose ma anche il più luminoso: “una stanza non molto più grande
di una cella monacale, ma molto più ingombra di mobili”, ricorderà
la moglie Jessie.
Il
1909 era stato un anno faticoso, quasi tutto dedicato a “Sotto gli occhi dell’Occidente”,
secondo romanzo non marinaresco dopo “L’agente
segreto”. Il suo agente Pinker, per altro
il meglio che Conrad potesse incontrare e amico vero fino alla morte,
era esasperato: stanco di pagargli anticipi per romanzi che nascevano
tra mille doglie, come se non dovessero nascere mai, e che, soprattutto,
avrebbero venduto molto poco.
Un
paio di mesi prima, Conrad aveva scritto a Pinker una lettera in cui
si era difeso tra stizza e sarcasmo: “Quanto
alle persone gentili che ti chiedono se ho smesso di scrivere, puoi
dir loro che negli ultimi 20 mesi ho scritto 160 mila parole – ognuna
delle quali ha un significato – e in condizioni mentali e fisiche
tali che nove su dieci di loro sarebbero crollati infinite volte.”