"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 15  giugno 2011

 


 

n. 15 °*° Da Hitler a Casablanca via Hollywood  °*° n. 15

cineasti ebrei in fuga dal nazismo

 

 1. Ancora qui

 

  


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Se «una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie», cosa sarà raccontare qualche storiella piccante? E non con l’intenzione che faccia “pensare” ma proprio ridere fino alle lacrime? Per Billy Wilder Auschwitz non fu una metafora, eppure dopo Auschwitz scrisse e girò quasi solo commedie: la sua biografia è un arco teso tra due estremi per noi “estranei” impossibile da tenere: : l’«ARBEIT MACHT FREI» che campeggia sulla soglia del lager e il «Well, nobody’s perfect» che sigilla la cascata di gioia che regala ogni volta A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot, 1959).

Proprio quest’arco, che una sorte benevola ci ha esentato dal dover esigere da noi stessi, noi non abbiamo nessun diritto di spezzare. Riuscire a contemplarne l’ampiezza sarebbe già un compito degno. Billy Wilder come nessun altro porta oltre il dolore della guerra, in un mondo ben più crudele di quello di Lubitsch, la possibilità di una «precaria ma contagiosa felicità» (GUIDO FINK, Non solo Woody Allen. La tradizione ebraica nel cinema americano): «Sono riuscito a sopravvivere a eventi terribili, ho perso i miei genitori, gli amici, gli affetti più cari. Sono morti tutti quanti… di cancro o ad Auschwitz. L’ho mandata giù, ho conosciuto il dolore e ho pianto un po’, e sono ancora qui» (CAMERON CROWE, Conversazioni con Billy Wilder).  

 

(da: Francesco Carbone, I vecchi maestri, introduzione a Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)

 


  

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