"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13 settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

 

60. Ventiquattr'ore

 

 

 

 


 

OSRIC - Il re, signore, ha scommesso, signor mio, che in una dozzina di assalti fra lui e voi, egli non vi supererà di tre stoccate. Dodici a nove, ha scommesso. E si verrebbe subito alla prova se vossignoria si degnasse di rispondere.

AMLETO - E se dicessi di no?

(Atto V, sc. 2)

 

 

Atto V, scena seconda: «Scadono le ultime ventiquattrore accordate dal destino, e questa posizione finale dà alla scena una tensione che contrasta col suo avvio quieto e anche giocoso.  L’ora della verità coglie Amleto in una fase di calma, di assenza di sospetti e persino di minor rancore – accetta di combattere «per il re» e difendere la sua scommessa – e in qualche modo di acquietamento stoico-cristiano (ispirato dal modello del «romano» Orazio e dalle vicende personali in cui gli par di vedere la mano della provvidenza). Ma questo acquietamento non implica un risveglio all’attività e all’intraprendenza, anzi più che mai in questi ultimi episodi prima del duello Amleto non fa niente,,perde tempo nei soliti scontri ironici coi cortigiani, si fa trascinare dagli eventi di cui è assolutamente in balia, mentre la vanità e l’onore lo fanno cadere facilmente nella trappola tesagli dal re e da Laerte. Del tutto passivo è il suo concetto di «readness», al punto da far pensare che egli si sia costruito quell’ideale stoico per giustificare la sua inefficienza di uomo, sino alla fine, «senza qualità». Difficile vedere in lui, dunque, quella positivizzazione o «redenzione» finale che vi vedono i critici, anche quelli che di Amleto sono più critici. Amleto ha condannato senza batter ciglio Rosencrantz e Guildenstern con una crudeltà non inevitabile, e poi ne attribuisce la morte alla provvidenza. E’ un uomo che in questa scena finale pecca di vanità, di hybris, di falsità, e che fino all’ultimo non si preoccupa, malgrado il suo disprezzo per la propria vita, che di se stesso, del proprio onore e del proprio nome. E’ infatti un uomo incapace di prevedere il volgere degli eventi, e che da essi è travolto.»

 

(N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto, Milano 2004)


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