"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numeri 12-13, settembre 2007

Lo stomaco del pittore

Il diario del Pontormo

di Modus Inrebus


«..giovedì sera una minestra di buono castrone e insalata di barbe.

Venerdì sera insalata di barbe e due huova in pesce d’uovo.

Sabato digiuno. Domenica sera, che fu la sera dell’ulivo, cenai un poco di castrone lesso e mangiai un poco d’insalata, e dovetti mangiare da tre quarti di pane.

Lunedì sera…»

(Pontormo, Diario, Abscondita 2005)

 


In «un casamento da uomo fantastico e solitario» (G. Vasari, Vita di Iacopo da Pontormo pittore fiorentino), ciangottano rumori vaghi di stoviglie laconiche. Poi brevi scoli intermittenti, passi disillusi e strascinati, respiri senili, tintinni di cose buie, lasciate là dove hanno smesso di servire. Può accadere che ogni tanto, in un silenzio dove senti - un acufene - la polverosa clessidra dell’essere, il vecchio pittore annoti un Diario fatto quasi solo dall’elenco nudo dei giorni e dei pasti: «bollettini meticolosi, ossessivi» di «puerili ricette», ché un uomo «più poveramente non poteva mangiare» (Emilio Cecchi, Postfazione a: Pontormo, Diario).

Affascina e fa pudìco lo spione di questo tronco residuo di diario proprio il deserto di emozioni e di pensieri. - Per questo genio ardito e astratto, splenetico e avventuroso, non ci sono che cose, e le cose sono poche: il cibo, la merda, la pittura, le visite di rari amici neppure sempre ammessi.

Un’anima zen gioirebbe di tanta senile selvatica purezza, di questo Tao refrattario e demente.  Mentre Vasari nel vecchio Pontormo vede solo i segni estremi d’una «stranezza» congenita, d’una  «ghiribizzosa maniera» di vivere, tanto da ingoiarne il talento, soprattutto per l’ostinarsi a «trapassare (…) tutte le pitture dell’arte», e a «strafare», sforzando la Natura a forme bislacche, a composizioni mai prima vedute…

 

Né Pontormo avrebbe negato: arrovellato in un platonismo ancora più sperimentale e selvaggio dell’indagatissimo Michelangelo («le arti non imitano direttamente il mondo visibile; risalgono, invece, ai principii da cui viene l’ordine della natura, e molte cose esse creano da sé…» Plotino, Del Bello), era certo che la Natura non fosse da imitare ma da correggere. – La Natura è latrice di forme grezze, di pepite terrose in cui l’oro è quasi solo un’ipotesi: le sue sagome vanno indagate come pretesti, alchemizzandone l’imperfezione per la liberazione di quintessenze migliori, insospettabili a un occhio nudo, non intellettualmente risvegliato: Baudelaire avrebbe applaudito.


Il tempo del Diario rimasto – gli ultimi tre anni di vita – di questo Geppetto laconico e tetro sono occupati dal ciclo di affreschi di san Lorenzo a Firenze: dieci anni di lavoro solitario e introverso, che non solo Vasari non comprese. Di tanta avventura non ci resta nulla, infatti, poiché gli affreschi furono coperti senza dolore da posteri ciechi perché sicuri del gusto loro.

Ma senza queste ciance: con un genio su cui non ha da interrogarsi più che sul gesto di un cucchiaio nella zuppa, Pontormo dipinge defeca e mangia. Pare tenere tutto sullo stesso piano. E lascia nel diario una voce minima come un ultimo nastro Krapp:

Giovedì mattina cacai due stronzoli non liquidi, e drento n’usciva che se fusimo lucignoli lunghi di bambagia, cioè grasso bianco; e assai bene in San Lorenzo e fini’ la figura.

Venerdì pesce e uno huovo.

 

 …tutto come se la vita davvero stesse dentro lo sguardo sfingeo e analitico di Leonardo (anche per la sua bottega il giovane Pontormo passò) che contemplò l’uomo come «transito e condotto di cibo, sepoltura di animali, albergo de’ morti» e «guaina di corruzione» (Leonardo da Vinci, Favole e facezie).

Pontormo, che dipinge santi e profeti ma non prega mai, col suo elenco di disegni e di frittate pare dire: già. Poi annota mezze righe di amnesie in sé sospese: «Martedì in casa feci non so che».


P.S.

 Altro genio tra i Nati sotto il segno di Saturno (R. e M. Wittkower, Einaudi, 1963), Piero Cosimo fu maestro tra i principali di Pontormo. A lui pare legato da un filum diretto di misantropia e stravaganza anche culinaria. Vasari gli dedica una delle Vite più belle. Da lì impari che, «fantastico» e talentuoso quanto l’allievo, Piero visse quasi solo di «spirito filosofico» e di uova:

ova sode, che per risparmiare il fuoco, le coceva quando faceva bollir la colla; e non sei o otto per volta, ma una cinquantina, tenendole in una sporta,  che consumava a poco a poco

(G. Vasari, Piero Cosimo)


 

 

 

 

per abbonarti manda un email cliccando sull'immagine

 

torna su

 

 

 

      

torna alla matta