«E’ una dolce
passione la vendetta, di grande peso e naturale: lo vedo bene se pure
non ne ho alcuna esperienza.»
(M. de
Montaigne, Saggi, vol. III)
«Le opere della
virtù sono più rare
di quelle della
vendetta.»
(La Tempesta,
Atto V, sc. 1)
Per la gioia del Bouvard o Pechucet
che è in noi: leggi i critici e trovi un coro unanime, almeno, sulle
capacità di Amleto di far la festa a Claudio: «il principe Amleto sa
meglio di noi di aver ricevuto un incarico del tutto inadatto alla sua
personalità» (H. Bloom, Shakespeare, Milano 2003);
«Egli dovrebbe vendicare l’assassinio, ma si sente stranamente
incapace di farlo» - (S. Freud, Dostoevskij e il parricidio,
1927); la sua è una «pigra vendetta» (R. Girard,
Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Milano 2002); «Tutte le
circostanze cospirano a favore della vendetta, ma invano!»; (W.
Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, Milano
2006). La babele ricomincia sul perché.
Posto che un’ipotesi escluda
l’altra, non perché sia un Edipo da psicoanalisi ma un Narciso, dice
Auden: «Prima che questo avvenisse egli non era affatto un
eroe, ma solo un giovanotto normale. Il risultato è che, invece di
vendicare semplicemente il padre e farla finita, egli ama segretamente
la sua situazione e non può sopportare di farla finire, perché chi
sarebbe allora?» (W. H. Auden, Lezioni su Shakespeare,
Milano 2007).
Amleto sarebbe dunque troppo
giovane e narciso per almeno sospettare la saggia gioia di essere
nessuno. Intanto subisce la cattiva presunzione dello Spettro-papà, il
quale, benché uso a valutar soldati, non cura il principio essenziale:
per il bene della missione, mai dare incarichi stolti a uno troppo
intelligente.