OFELIA - E lui
si levò si vestì
e il suo usciolo
le aprì,
entrò ragazza e
mai più ragazza
da quell'usciolo
sortì.
(Atto IV, sc. 5)
«OFELIA - Oh, io sono morta
pazza, nevvero? Certo che ero un po’ morbosa. Ma un pazzo ben diretto
dalla sua pazzia può trovare non sapete quante meraviglie nelle cose
più umili, anzi più vili e goffe. Ad esempio, quel fiumiciattolo,
quella scheggia d’acqua come i pezzi di specchio che si mettono nei
presepi, a fingere uno stagno, un lago; non era un bel fiume, anzi,
nemmeno un fiume, una gora, una roggia, un canale interrato e lento;
ma per me, pazza ed Ofelia, era una culla, un letto nuziale e un
letto di adolescente, era una coperta calda da tirarsi fin sopra gli
occhi, era anche una fucina per foggiare un anello, anzi era proprio
l’anello ed io, entrando in quelle acque battesimali, amorose ed
inquiete, diventavo grande abbastanza per infilarmi al dito l’argento
o forse l’oro bianco di quel fiume, a meno che il fiume non fosse un
velo – di monaca, di sposa, di morta – o piuttosto una bara di garza,
un sarcofago mobile… Ma anche una casa, una casa tutta distesa a forma
di letto, una casa di nascita di amore, di morte, di sonno, di
resurrezione. Perché, si sa, una via d’acqua è, appunto, una via, anzi
un cavallo, una carrozza d’acqua, ed io l’ho presa di corsa, e da
qualche parte devo essere arrivata, altrimenti non saprei nulla della
mia morte. Mi dicono che non sono arrivata fino al mare, ma io credo
di avere fatta molta strada sul fondo del fiume: è un camminare che
non stanca. Cantavo, dite voi? Certo, ero molto felice, era così
avventuroso entrare in quel fiume, era così gentile, così lusinghiero;
quel fiume mi faceva la corte con calmo sentimento… Eppure era
giovane. Ma forse straparlo, io non sono del tutto mondata dai miei
deliri, mi piace sempre, da allora, oscillare sull’altalena di un
leggero delirio, oh niente di ambizioso, una filastrocca con nomi di
fiori, di erbe, di villaggi isolati, di preti apostati, di vecchi
libri, di ragazzi mai dimenticati, dei miei nomi alternativi… Ofelia,
Amelia, Aurelia, Cornelia, Ilaria… E’ una cosa abbastanza infantile,
vero? Ma che pazzia volete mai che sia la mia? Una cosa povera,
incolta, blesa, una demenza improvvisata, per andare incontro ad una
morte di stracci, una bambola deforme e innocua…»
(G. Manganelli,
High tea, in Tragedie da leggere, Torino 2005)
La voce: lettura di Sara
Alzetta