AMLETO - Da
qualche tempo, non so perché, ho perso tutta la mia allegria, ho
abbandonato ogni esercizio.
(Atto II, sc. 2)
«Non sum qui
fueram: periit pars maxima nostri:
hoc
quoque quod superest languor et horror habet»
(Massimiano,
sec. VI d.C.)
«Non son chi
fui; perì di noi gran parte:
Questo ch’avanza
è solo languore e pianto.»
(U. Foscolo,
Di se stesso)
Gertrude capisce tutto: il suo
«troppo affrettato matrimonio» fa sì che gli sia presto «troppo
mutato» il figlio (Atto II, sc. 2). Quanto catastrofica sia la
metamorfosi di Amleto lo racconta Ofelia, stravolta dalle sue offese:
«Oh, quale nobile animo è qui sconvolto! l’occhio, la lingua, la spada
del cortigiano, del soldato, del dotto, la speranza e la rosa del buon
governo, lo specchio della moda, e il modello delle creanze, osservato
da quanti fanno osservanza, del tutto, del tutto caduto! (…) ora vedo
quella nobile e veramente sovrana ragione, stonata e stridula come
dolci campane sbatacchiate; quella impareggiata forma e figura di
fiorente giovinezza annichilita dalla follia..» (Atto III, sc. 1).
Quindi, quello che noi spettatori
chiamiamo “Amleto”, credendo di essere più intimi alla sua essenza di
tutti gli altri personaggi, è niente in confronto a ciò che era. – Il
fatto che una poltrona in platea ci dia il privilegio di ascoltare con
agio i suoi soliloquî, non farebbe credere a Ofelia o Gertrude o
Orazio che noi conosciamo Amleto più di loro che l’hanno
frequentato e amato nel breve arco della sua mondana perfezione. Noi
di Amleto abbiamo una figura dimidiata dal lutto e stravolta dallo
Spettro. Nessuno accetterebbe di essere riconosciuto per quello che
è in analoga situazione. Vale quanto scrive Freud: «Il
melanconico presenta una caratteristica (…) un enorme impoverimento
dell’Io. Nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella
malinconia impoverito e svuotato è l’io stesso» (S. Freud, Lutto
e malinconia). La nostra coltivata intimità al dramma, se
vuole essere onesta, e proprio come per una persona che si ama, non
deve mai dimenticare questa sacra lontananza irrimediabile: l’essere
lui là e noi qua, arrivati giusto in tempo per farci invadere dalle
ultime parole di troppo.
Per la pazzia soliloquiante,
melanconica e incapace non di agire ma di credere all’azione,
qualcosa di molto amletico nella bellissima descrizione della follia
di Hölderlin del falegname Zimmer:«Se è diventato matto,
è a forza di essere dotto. Tutti i suoi pensieri si sono fermati a un
punto attorno al quale gira e gira sempre. Si direbbe il volo di un
piccione che gira attorno alla banderuola sul tetto. (…) Tutta la
giornata parla ad alta voce, facendosi delle domande e rispondendosi,
e le sue risposte sono raramente affermative… Non sa come sbarazzarsi
del suo grande sapere… è ugualmente un uomo libero, al quale non
bisogna pestare i piedi» (Testimonianza del falegname Zimmer sulla
pazzia di Hölderlin, in G. Kühne, Incontro di Zimmer con G. Kühne,
1836).