«...e soprattutto su Amleto, si
potrebbero fare le stesse osservazioni che Bachtin fa sui
personaggi dostoevskiani. Per esempi: «L’uomo non coincide mai con
se stesso. Non gli si può applicare la formula dell’identità: A
uguale A. per il pensiero artistico di Dostoevskij, la vera
vita della persona ha luogo sul punto di questa non coincidenza
dell’uomo con se stesso» (M. Bachtin, Dostoevskij, Torino
1968). O ancora: «I partecipanti all’azione in Dostoevskij
stanno sulla soglia (sulla soglia della vita e della morte,
della menzogna e della verità, del raziocinio e della follia)» (Ibid.)
o «L’autocoscienza del personaggio è in Dostoevskij
completamente dialogizzata […] l’uomo in Dostoevskij è il
soggetto di un rivolgersi» (Ibid.). Anche
Amleto sta sempre sulla soglia ed è per eccellenza il
«soggetto di un rivolgersi». Ed ecco, per ritornare a quanto si
diceva in apertura di questo saggio, la vera polifonia
shakespeariana, ben più complessa di quella presente
nell’antimodello di Falstaff. In Falstaff l’immaginario è
pieno e definito ed esteriormente orientato; in Amleto è vuoto,
indefinito, e articolato in un continuo rivolgersi.
Se il tragico è anche comico, e
viceversa, la parola di questi eroi inaugurali della crisi moderna (Amleto
o Don Chisciotte) è, allo stesso tempo, ancora «parola
patetica» e già parola crudele, che taglia ogni presunzione di un
senso dato, o rimasto. Ed è quindi parola polifonica, internamente
dialogica, che mette radicalmente in questione lo statuto della
rappresentazione monofocale, monologica, del mondo.»
(A. Serpieri, Polifonia
shakespeariana, Roma 2002)