«Il termine interpretazione»,
inteso nel suo significato corrente, non è quello più appropriato per
descrivere il mio lavoro. Io mi sono prefissato un compito più
elementare: leggere per la prima vota alla lettera un testo che non è
mai stato analizzato con l’occhio attento a temi essenziali della
letteratura drammatica quali sono il desiderio, il conflitto, la
violenza, il sacrificio.
Il piacere che ho provato nello
scrivere questo libro è dovuto alle continue scoperte testuali rese
possibili dall’approccio neomimetico. Shakespeare è autore più comico
di quel che si pensi e, con la sua satira amara e cinica, molto più
vicino alla nostra sensibilità di quanto non si creda. E’ un errore
ritenere che sia impossibile ricostruire le sue intenzioni. Dai tempi
del New Criticism, gli interpreti non si sono mai occupati
delle intenzioni dei poeti ritenendole inaccessibili, e persino
irrilevanti. Trattandosi di teatro, questo è un errore deleterio. Uno
scrittore di commedie scrive avendo in mente certi effetti comici,
e se noi non li comprendiamo non possiamo mettere in scena con
efficacia la sua opera.»
(…)
«Laddove la maggior parte degli
scrittori moderni dà per scontato che, per perpetuarsi, il potere
abbia a sua disposizione delle risorse illimitate e una volontà non
solo intelligente ma infallibile e demoniaca, Shakespeare pensa
esattamente il contrario. Il potere, laddove esiste, è di continuo
minacciato, e si trova sempre sull’orlo del collasso poiché è
affascinato dalla propria distruzione.
Incapaci anche solo di concepire
una simile eventualità, Freud, Marx,
Nietzsche e i loro odierni seguaci hanno causato
effetti disastrosi sull’interpretazione di Shakespeare, l’autore di
teatro per il quale i padri contano di meno, o contano solo in quanto
si de-paternalizzano. I maestri del pensiero della modernità hanno
dominato la nostra cultura così a lungo che persino quando ne
respingiamo esplicitamente le tesi, condividiamo la base su cui sono
state edificate. Per questo è per noi impossibile riconoscere il
principio fondamentale su cui si fonda tutto il teatro di Shakespeare,
quello dell’autodistruzione dell’autorità in ogni sua forma: la più
profonda aspirazione del potere è l’abdicazione.»
(R. Girard, Shakespeare. Il
teatro dell’invidia, Milano 2002)