«Börne dice dell’Amleto: «E’ un dramma cristiano».
Questa, secondo la mia opinione, è un’osservazione assai appropriata.
Ne sostituirei solo una parola: «E’ un dramma religioso», e
aggiungerei che il suo difetto non sta nell’esserlo, ma nel non
esserci arrivato, o piuttosto nel fatto che non avrebbe dovuto essere
un dramma. Dal momento che Shakespeare non vuole dotare Amleto di
presupposti religiosi che cospirino contro di lui nel dubbio religioso
(punto in cui cessa il dramma), Amleto resta essenzialmente un
indeciso, e l’estetica esige una concezione comica. Il suo progetto di
diventare un vendicatore a cui appartiene la vendetta, dice Amleto,
lui l’ha concepito; se non lo vediamo crollare religiosamente
all’istante sotto il peso di questo progetto (nel qual caso la scena
diventa introspettiva, e gli scrupoli impoetici di lui vengono a
rappresentare, dal punto di vista psicologico, una forma notevole di
pentimento dialettico, in quanto il pentimento arriva quasi troppo
presto), esigiamo allora un’azione rapida, giacché in tal caso deve
affrontare solo e unicamente l’esterno, un ambito dove il poeta non
gli pone difficoltà.
Se Amleto viene trattenuto nell’ambito di categorie puramente
estetiche, l’interesse si incentra sul problema: se, cioè, egli
possieda al forza demonica per mettere in atto una risoluzione simile.
I suoi scrupoli non sono di alcun interesse; il suo procrastinare e
indugiare, il suo rimandare e il piacere illusorio nel rinnovare il
suo proposito anche al momento in cui non si presentano ostacoli
esterni n on fanno che sminuirlo, sicché egli non diventa un eroe
estetico, e dunque si riduce a non essere nulla. Se viene trattato dal
punto di vista religioso, i suoi scrupoli assumono invece grande
interesse, perché assicurano che egli è un eroe religioso. Spesso la
gente ha dell’errore religioso un concetto del tutto superficiale.
(…) …il religioso è di natura interiore, e quindi gli scrupoli hanno qui
un’importanza essenziale.
Se uno volesse dare di Amleto un’interpretazione religiosa,
bisognerebbe o permettergli di concepire il suo piano, e lasciare poi
che i dubbi religiosi lo sventino; oppure, cosa che a mio parere
meglio mette in luce il religioso (giacché il primo caso potrebbe
anche essere viziato dal dubbio che egli, in realtà, non sia incapace
di mettere in atto il suo progetto), bisognerebbe dotarlo di una forza
demonica che lo metta in grado di eseguire il progetto con forza e
decisione, e poi lasciarlo precipitare in se stesso e nel religioso,
finché non abbia trovato pace. Un dramma, naturalmente, non ne verrà
mai fuori; un poeta non può fare uso di un tema come questo, che
cominci dalla fine e ne faccia tralucere l’inizio.»
(S. Kierkegaard, Stadi sul cammino della vita, Milano 2006)