«Che ne sarebbe dei nostri
progetti, se, subito “compresi” dal prossimo nostro, venissero
esauditi, realizzati prima d’essere stati intrapresi? Che ne sarebbe
della nostra vita, se già vissuta.
Ecco che quel mio modo stupito
d’intraleggere Shakespeare, oltre il senso mediato, si felicitava,
inconscio, con la mente mia bambina che da quel testo era così
pensata, sillaba dopo sillaba, parole, una per una, due tre insieme,
demotivate, in sé e per sé sovrane, verticali fuocherelli fatui,
impotenti a disporsi dentro i ranghi-sequenza della frase. (…) Leggevo
a mezza voce, proprio per niente mortificato di non capirci niente;
parole, suoni, naturalmente nomadi come lassù le stelle, qua e là in
cielo disposte, compitate a grumi, ma rare a fronte le miriadi altre
lacrime disperse.
“il significato è un sasso in bocca
al significante.»
Ci sono infanzie così precoci?»
(C. Bene, Opere, Milano
2002)
«Nel primo decennio scenico, senza
nemmeno il filo di un microfono, mi producevo come dotato d’una
strumentazione fonica amplificata a venire, esercitando le
medesime costanti orali d’una ricerca elementare irriducibile: la
verticalità (metrica e prosodia) del verso (e del verso
libero), gli accenti interni nel poema in prosa, il canto
fermo (dal gregoriano al lied, di contro al belcantismo
vibrato), il parlato d’opera, l’intenzione musicale, la
dinamica e le (s)modulazioni di frequenza nelle
contrazioni diaframmatiche, la non mai abbastanza studiata cura dei
difetti, l’ampiezza del ventaglio timbrico e le
variazioni tonali, lo staccato, l’emissione (petto-maschera-testa-palatale)
della voce ecc., ma sempre costringendo altezze e picchi dentro il
diagramma monotòno della fascia armonica (a rivestire
dell’alone il suono) e del basso continuo, mai disinserito;
l’inspirazione e il fiato trattenuto, il guizzare vocalico
esasperatamente tratteggiato a dissennare la frastica del logos (fin
dalla prima edizione del Pinocchio come infortunio sintattico):
donde quel recitarsi addosso, magico che non fuggì ai
più sensibili ascoltatori.»
(C. Bene, Opere, Milano
2002)