"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 10, maggio 2005



 

Paul Valéry

 

 

Il cimitero marino (1)

 

Cura e traduzione di Fiornando Gabbrielli


Marino - o, più esattamente, dei marinai - è il cimitero scavato a mezza costa del Mont St-Clair, lo spuntone roccioso che domina il borgo di Sète, in Linguadoca: bianche case mediterranee, tetti d’ardesia, calli e canali, fra la laguna di Thau e il golfo del Leone, famoso per le sue burrasche improvvise. In quel cimitero sono sepolti i genitori del poeta, e vi sarà sepolto egli stesso, nel 1945. 

 

La poesia è del 1920: fu composta a Parigi, trentasei anni dopo la partenza da Sète. Si tratta quindi d’un viaggio immaginario a un luogo reale dell’adolescenza: vialetti che s’inoltrano fra pini e cipressi, oleandri e tombe, lo sguardo che si volge al circostante mare, solcato da vele bianche, e scintillante nella quiete del mezzogiorno: il mare dunque, la terra, e il destino dell’uomo.

 

Mentre l’occhio si perde in quello spazio fulgido e immobile, impassibile, senza storia, la mente ripercorre il suo viaggio nel tempo: il passato sta tutto in un sospiro! Il presente altro non è che attesa d’un futuro che non arriva mai, d’un eco della propria grandeur. E il futuro? Un futuro, certo, ci sarà, lì sotto una lapide, insieme ai cari assenti: sospiri, attese (e anche grandeur...) confluiranno in una ‘magra immortalità, nera e dorata’... Non c’è scampo per il corpo! Né per l’anima, la piè-veloce della natura! Bloccata, ipnotizzata da ragionamenti inconfutabili, in cui s’annidano sofismi, antinomie irrisolvibili dalla pura riflessione.

 

Quand’ecco arriva una burrasca, a rompere l’incantesimo del sole e della luce: il mare s’agita, le onde si frangono sulle rocce: raffiche salmastre ridestano il poeta stordito dalla contemplazione dell’Essere, squadernandogli il libro che ha in mano: tentare di vivere, bisogna, non ragionare sulla vita! Spendere fino all’ultimo spicciolo, finché ne abbiamo in tasca, la nostra cifra di delirio.


 

Alla vita immortale, anima cara,

non ambire, ma vuota la misura

di quello che è fattibile.

(Pindaro, Pitica III)

 

Quel tetto quieto, corso da colombe,

In mezzo ai pini palpita, alle tombe;

Mezzodì il giusto in fuochi vi ricrea

II mare, il mare, sempre rinnovato!

Che ristoro a un pensiero è un lungo sguardo 

Posato sulla calma degli dèi!

 

Che fine luccichìo tesse e consuma

Tanti diamanti d’impalpabil schiuma,

E quale pace sembra in gestazione! 

Quando un sole si posa sull’abisso,

Opere pure d’un principio fisso,

Scintilla è il Tempo e il Sogno cognizione.

 

Saldo tesoro, spoglia ara a Minerva,

Massa di calma, e limpida riserva,

Acqua accigliata, Occhio che in te serbi

Così gran sonno sotto un vel di fiamma,

O mio silenzio!... Edificio nell’anima,

Ma colmo d’oro in mille embrici, Tetto!

 

Tempio del Tempo, che un sospir riassume,

Salgo e m’abituo a questo puro punto,

Circondato dal mio sguardo marino;

E come estrema offerta mia agli dèi, 

Dissemina lo scintillio sereno 

Sull’altitudine un sovrano sdegno.

 

Come il frutto si scioglie in godimento,

Come in delizia cambia la sua assenza

Dentro una bocca in cui la forma muore,

Così qui annuso il mio futuro fumo,

E il cielo canta all’anima consunta

Le rive che si cambiano in rumore.

 

Guardami, cielo bello, cielo vero,

Come cambio! Io che ero così altero,

Pieno di strana, oziosa onnipotenza, 

A questo spazio fulgido m’arrendo:

Per le case dei morti vo inseguendo

La mia ombra, che m’ha addomesticato.

 

L’anima esposta ai fuochi del solstizio,

Reggo la tua mirabile giustizia,

Luce, e le armi tue senza pietà!

Ti rendo pura a dove fosti in nuce:

Pensa per te!... Anche se,  render la luce,

Implica d’ombra una cupa metà.

 

Oh per me solo, solo mio, in me stesso,

Accanto a un cuore, alle fonti del verso,

Tra il vuoto, attendo, e il divenire puro,

Un eco della mia grandezza interna,

Amara, cupa e sonora cisterna,

Che un rimbombo dà in me, sempre futuro!

 

 

Ce toit tranquille, où marchent des colombes,

Entre les pins palpite, entre les tombes;

Midi le juste y compose de feux [1]

La mer, la mer, toujours recommencée!

O récompense après une pensée

Qu’un long regard sur le calme des dieux!

 

Quel pur travail de fins éclairs consume

Maint diamant d’imperceptible écume,

Et quelle paix semble se concevoir!

Quand sur l’abîme un soleil se repose,

Ouvrages purs d’une éternelle cause,

Le Temps scintille et le Songe est savoir.

 

Stable trésor, temple simple à Minerve,

Masse de calme, et visible réserve,

Eau sourcilleuse, Œil qui gardes en toi

Tant de sommeil sous un voile de flamme,

O mon silence!...  Édifice dans l’âme,

Mais comble d’or aux mille tuiles, Toit![2]

 

Temple du Temps, qu’un seul soupir résume,

A ce point pur je monte et m’accoutume,

Tout entouré de mon regard marin;   

Et comme aux dieux mon offrande suprême,

La scintillation sereine sème

Sur l’altitude un dédain souverain. [3]

 

Comme le fruit se fond en jouissance,

Comme en délice il change son absence

Dans une bouche où sa forme se meurt,

Je hume ici ma future fumée, 

Et le ciel chante à l’âme consumée

Le changement des rives en rumeur.

 

Beau ciel, vrai ciel, regarde-moi qui change!

Après tant d’orgueil, après tant d’étrange

Oisiveté, mais pleine de pouvoir,

Je m’abandonne à ce brillant espace,

Sur les maisons des morts mon ombre passe

Qui m’apprivoise à son frêle mouvoir. [4

  

L’âme exposée aux torches du solstice,

Je te soutiens, admirable justice

De la lumière aux armes sans pitié!

Je te rends pure à ta place première:

Regarde-toi!... Mais rendre la lumière

Suppose d’ombre une morne moitié.

 

O pour moi seul, à moi seul, en moi-même, 

Auprès d’un cœur, aux sources du poème,

Entre le vide et l’événement pur, 

J’attends l’écho de ma grandeur interne,

Amère, sombre et sonore citerne,

Sonnant dans l’âme un creux toujours futur!

 


[1] Juste, equidistando da alba e tramonto, il massimo della luce, della giustizia, del giudizio. Ma vedremo via via (VII,XIII,XXI) quali connotazioni ‘negative’ (di severità, indifferenza, crudeltà) possono nascondersi sotto l’aspetto seducente di sole e luce.

Composer è verbo tipico di Valéry, che invita il lettore a ripetere con lui la poiesis: qui sono solo fuochi (lo scintillio del sole sul mare increspato), più oltre (X) oro, pietra e alberi scuri, a ricomporre il cimitero.   

[2] Comble, culmine, copertura dell’edificio. La superficie del mare come il silenzio dell’anima: a coprire i tesori delle sue sonnolente profondità.     

[3] La vita passata (Temps) è riassunta in un solo sospiro, mentre il poeta sale e s’abitua a quel puro punto: il cimitero sulla collina. C’è indifferenza, distacco, sovranità reciproca fra lo sguardo dall’alto sulla divina calma, e scintillio del mare che si leva tutt’intorno.

[4] “Sulle case dei morti la mia ombra passa / Che m’assuefà al suo esile movimento.” Apprivoiser, addomesticare, rendere mansueto, abituare.

 

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