“Gli
accenni alla incapacità della lingua e i confronti tra la limitazione
delle parole e l’infinita vastità del sentimento sono del tutto
errati. Il sentimento
infinito rimane nelle parole altrettanto infinito quanto lo era nel
cuore. Ciò che è chiaro nell’intimo lo sarà innegabilmente anche
nelle parole. Perciò non bisogna mai stare in pensiero per la lingua,
ma spesso, alla vista delle parole, per se stessi. Chi può sapere,
scavando nel proprio intimo, in che condizioni si trovi? Questo intimo
tempestoso e rotolante o paludoso siamo noi stessi, ma nella strada
che si compie in segreto, sulla quale le parole vengono fatte uscire
da noi, emerge la conoscenza di sé, che se anche è ancora legata,
sta però davanti a noi, spettacolo stupendo e terribile. Proteggimi
dunque, cara, da queste odiose parole che nell’ultimo tempo ho
spremute dal mio intimo. Dimmi che comprendi tutto ciò, eppure
continui a volermi bene.”
(Lettera
a Felice, 18 febbraio 1913)