“Meyrink
non gli diceva nulla. Allora citai a memoria qualche “bel passo”:
uno dalla Morte color viola in cui Meyrink paragonava certe
farfalle con grandi libri magici aperti. Kafka arricciò il naso. Tali
immagini gli sembravano troppo ricercate e invadenti; egli ripudiava
tutto quanto avesse un’aria intellettuale e artificiosa alla ricerca
dell’effetto (ma non usava mai queste definizioni). C’era in lui
(e gli era cara anche nel prossimo) un po’ di quella “voce
sommessa della natura” che piaceva a Goethe. Per contro , a
esemplificazione di ciò che piaceva a lui Kafka citò un passo di
Hofmannsthal: “L’odore di pietre bagnate in un cortile”. E
tacque a lungo senza aggiunger altro come se questa impressione
modesta e segreta dovesse agire da sé.” (M.
Brod,
Kafka).
Molti
anni dopo, nei diari, Kafka usò il simbolo della farfalla: invece che
figure di un’eleganza tra Tiffany e Gallé, sono immagine del
pericolo necessario a chi, da artista, cerca: “L’arte vola intorno
alla verità, ma con la decisa intenzione di non bruciarsi. La sua
abilità consiste nel trovare, nel vuoto oscuro, un luogo dove poter
saldamente afferrare il raggio della luce prima che ciò venga
riconosciuto.”