"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003

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Una lettera

 

 

Kakka per Kafka

Piccole note 

su come si legge Kafka a scuola 

 

di Eros Pedagogico


Caro "compagno segreto",

I pensieri che seguono sono di un vecchio professore pensionatissimo che, dopo aver letto il vostro numero sul “Kafka Comix”, butta un occhio non nostalgico su un libro di testo né peggiore né migliore di altri. Lì, proprio su Kafka, legge: 

 

“TERZO MODULO – RITRATTO D’AUTORE – FRANZ KAFKA” 

 

Il Modulo va da pagina 655 a pagina 721. Sulla prima pagina c’è un suo ritratto colorato al computer, sul quale in effetti campeggia in caratteri giganteschi la parola “MODULO”: la scritta “Ritratto d’autore” è già meno della metà, e “Franz Kafka” sta un piccolo riquadro posto su un lato, colorato di celeste. “MODULO” è insomma stampato una ventina di volte più grande di “Kafka”, e la minaccia, come si vedrà, sarà mantenuta.

Subito sopra la foto innocente, sono già elencati in grassetto gli OBIETTIVI che evidentemente devono essere conseguiti nel momento in cui si decidesse di inoltrare un proprio “percorso” al di là di questa soglia. Gli “obiettivi” sono sette ed indicati con l’uso che si potrebbe supporre quasi imperativo dell’infinito (come “Credere, Obbedire, Combattere”).

 

Il primo obiettivo è: “contestualizzare storicamente l’autore e le sue opere”.

Ho letto bene: Contestualizzare viene prima di conoscere… 

Ma ecco gli altri 6 obiettivi.

Cogliere la sua formazione culturale e la sua poetica” (le formazioni dunque si colgono…); “Rivelare il rapporto con i movimenti culturali del suo tempo”; Riconoscere le persistenze e/o le variazioni tematiche…”; Attualizzare la lettura delle sue opere”; Rilevare gli elementi autobiografici…”; Cogliere le inquietudini esistenziali della sua epoca”.

 

E insomma: cogliere, rilevare, attualizzare!… -  Saltando alla fine del Modulo, scopro che il percorso è stato effettivamente concepito come una corsa  per arrivare nell’imbuto risolutivo di una “VERIFICA SOMMATIVA” (un'altra coppia di sostantivo e aggettivo non umana), da cui estrapolo un campione di richieste da rivolgere al giovane infine edotto.

 

Ecco la prima:  

“Kafka, profeta dell’angoscia di questo nostro tormentato secolo: parlane alla luce dei testi analizzati.”

Ma poi, cogliendo qua e là: “L’opera di Kafka ha valore soprattutto per un’epoca come la nostra in cui la minaccia nucleare rappresenta un dramma per l’umanità”; “Fa’ (sic: proprio Fa’…) considerazioni sull’atteggiamento dei familiari di Gregor, travolto dall’infausta sorte, che lo esulano anziché trattarlo con pietà e affetto”.

E infine: 

“L’opera di Kafka è anche protesta contro un potere sfuggente che cerca di vanificare ogni sforzo compiuto da singoli individui per conseguire una giustizia sociale. Fa’ un breve confronto con il “potere” che domina oggi in Italia e nel mondo.” 

Può bastare?

 

Tralascio la questione di cosa queste richieste vogliano dire, ammettendo che vogliano dire qualcosa.

Per affrontare la VERIFICA SOMMATIVA sui 7 obiettivi, sono offerti due brani da America, il primo di 7 e il secondo di 4 pagine; due brani del Processo, le prime 7 pagine e poi altre 4 dal IX capitolo; 5 pagine dal Castello; una antologia di 13 pagine dalla Metamorfosi; altre 13 pagine da altri racconti e, infine, 2 pagine dalla Lettera al padre.

All’inizio di ogni brano c’è un cappello introduttivo, che dovrebbe aggiungere luce rispetto a una lettura diretta e selvaggia di Kafka. - Leggo ad esmpio sul racconto Un messaggio imperiale: “In questo “messaggio” è messo in luce l’impossibilità dell’uomo di accedere alla parola divina… La verità non splende più nella vita: si disperde in essa.”

Come ogni altro testo proposto, l’enigmatico racconto è incastonato tra il suddetto cappello e una “Analisi del testo” che dice che il racconto “è una metafora con la quale Kafka mette in luce l’incerto destino delle parole… unica certezza la fantasia… E’ un messaggio proiettato nell’infinito dello spazio e del tempo, un messaggio che acquista vita solo nei sogni.”

Qualunque manuale di retorica, conforterebbe nell’impressione che le suddette frasi esprimono un tono apodittico, perentorio, assiomatico, sentenzioso. Si noti infatti l’uso costante dell’indicativo - il modo verbale della realtà – e l’insistenza addirittura del verbo ontologico per eccellenza: il racconto è una metafora; è proiettato, è messo in luce…

 

Pongo a questo punto - evidentemente alla Luna, ma se lo fa un pastore errante lo posso fare anch'io - poche domande che spero semplici e non gravate da pregiudizi e rivalse:

-    Le “ vigenti disposizioni ministeriali”, in conformità delle quali non dubitiamo siano stati disegnati questi Percorsi Modulari, a  cosa aspirano? A immagine e somiglianza di cosa, vorrebbero modellare i giovani nell’età fiorita della scolarità?

-    Supponendo che, in una scuola perfetta (perfetta rispetto alle “disposizioni ministeriali”), un giovane perfetto coadiuvato da un docente perfetto, consegua perfettamente gli “Obiettivi” sopra indicati, cosa si sarà ottenuto? - Chi sarà quel giovane?

-   Sarà un tipo interessante, libero, originale, accattivante? Avrà una sua lingua, e cioè suoi pensieri? Andrà più spesso in libreria? Sarà più cortese ed elegante con le ragazze (e viceversa)? Più gentile col prossimo? Più sensibile alla bellezza e alla sofferenza? Avrà slanci generosi? Avrà gusto per l’arredamento della casa? Gli verrà uno sguardo più profondo?

-   Passando infine dall’ideale al reale: perché un giovinetto scherzoso (o anche bulimico e depresso) dovrebbe preferire i percorsi modulari delle “vigenti disposizioni”, ai sentieri interrotti di se stesso?  - E, posto anche che il “principio di piacere” debba essere affiancato o addirittura soppiantato da un virile “principio di realtà”, a quale scopo la collettività adulta dovrebbe educarlo (o addestrarlo?) a far fronte a una serie di esercitazioni del tipo sopra esemplificato, invece che affidarlo all’adrenalina coatta delle discoteche, dei videogiochi, e magari di meno virtuali corse in auto di notte? Perché “cogliere, rilevare, attualizzare” è meglio del non senso del cazzeggio puro con mamma e papà, o con gli amici o da solo davanti alla tivù? Perché “contestualizzare” è meglio dell’SMS di massimo 120 caratteri, o dell’annullamento orgiastico e magari teppistico dell’Io in una curva di stadio?

 

Essendo domande semplici, sarà vano confidare in risposte semplici.


 

 

 

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