Nelle
pagine degli scrittori praghesi del principio del secolo si ripresentano
spesso le bettole, i ritrovi notturni, le ultime “case di gioia”
dell’impero absburgico, con sale adorne di arazzi e di specchi e di
tende di velluto rosso, con arpiste cieche e strimpellatori di
pianoforte, con ragazze di tutte le terre della monarchia. Il più cèlebre
di questi locali, il lussuoso Salón Goldschmied in via Kamzìkovà
(Gemsengäschen), paragonabile forse al lupanare di Vienna in cui, nella
Milleduesima notte Joseph Roth, lavora Mizzi Schinagl, fu
effigiato da Werfel nel raccapricciante racconto Das Trauerhaus
(La casa di lutto). Ma anche le osterie, le locande del Castello
kafkiano, coi loro afosi sgabuzzini e con quel pigia pigia di fantesche
equivoche, odorano di bordello praghese.
(A.
M. RIPELLINO, Praga magica).
Kafka
con una prostituta:
“...ma
d’altro canto ho un tale bisogno di cercar qualcuno per averne sia
pure soltanto il contatto amichevole che ieri sono stato in albergo con
una prostituta. Era troppo vecchia per essere ancora malinconica ma le
dispiaceva, anche se non se ne meravigliava, che con tali donne non si
possa essere gentili come con un’amante. Non l’ho confortata poiché
nemmeno lei ha confortato me” (Lettera
a Max Brod, settembre 1908).
Oltre
alle lettere, diverse annotazioni nei diari, nonché la presenza del
bordello in tutt’e tre i romanzi.