Kafka
ha fatto in tempo a conoscere il vecchio e aggrovigliato mondo
dell’antico ghetto (Josefstadt). Nelle anguste e tortuose viuzze
regnò fino al 1900 una vita umbratile e spettrale. Significativi già
i nomi delle case: Alla topaia, Al guanto sinistro, Alla morte, Al
pan pepato e una minuscola casetta portava lo strano nome di Senza
tempo. ’Decrepite case pigiate l’una sull’altra, case
all’ultimo stadio della decadenza con avancorpi e parti aggiunte
che sbarravano vicoli angusti. Viuzze tutte curve ed angoli, e in
quel caos ci si poteva smarrire senza speranza… passaggi senza
luce, tetri cortili. Brecce nei muri e volti come antri…’, così
lo descrive il praghese Leo Perutz.
Kafka
non ha mai perduto il ricordo di questo mondo singolare, benché vi
abbia vissuto solo da bambino. A Janouch diceva ancora: “In noi
continuano a vivere gli angoli oscuri, anditi misteriosi, finestre
cieche, cortili sudici, bettole chiassose e le chiuse locande. Noi
andiamo per e vie larghe della città rinnovata. Ma i nostri passi,
i nostri sguardi sono malsicuri. Dentro tremiamo ancora come nelle
vecchie viuzze della miseria. Il nostro cuore non sa ancora nulla
del risanamento eseguito. La vecchia malsana città ebraica è
dentro di noi molto più reale dell’igienica città nuova intorno
a noi. Camminiamo sognando ad occhi aperti: noi stessi un fantasma
di tempi passati” (G. Janouch, Colloqui
con Kafka).
Da:
K. WAGENBACH, Kafka. Biografia della giovinezza.