"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

  Marlene Dietrich: parole per la Musa


 

 

14.  Una sola volontà

 

 

 

 


 

 

“Vedete, una sola volontà regna ancora tra queste rovine, volontà che ci spinge oltre ogni rispetto umano: sopravvivere. Guardate me, per esempio, e pensate che tutto ciò che avevo mi è sparito e sprofondato attorno: la patria, la fede, i principi… eppure ho tirato avanti. Mesi e mesi ho passato nell’orrore dei rifugi antiaerei, ed ho tirato avanti. Sapete che cosa voleva dire essere una donna quando arrivarono qui i russi? Ho sempre tirato avanti. Ed era un inferno. E poi ho trovato un uomo…”

(Scandalo internazionale, 1948, sceneggiatura di B. Wilder, C. Brackett e W. Reisch)

 

Posto che in certe circostanze sia davvero concesso lo spazio d’una scelta, pare che non resti che dimenticare o morire: che, dunque - come azzardò dire ad Amleto il suo patrigno omicida - l’essenziale ingiustizia del sopravvivere sia sempre il dimenticare.

In mezzo allo sfascio sanguinoso della Germania del ’46, è un’illusione davvero per poveri angeli che si possa “ricomporre l’infranto…” (W. BENJAMIN, Angelus Novus).

Scartato il suicidio (Roberto Rossellini l’anno prima gira tra le stesse rovine Germania anno zero), e con almeno un’intera generazione di testimoni incapace di senso tragico per quanto commesso (K. JASPERS, La questione della colpa), pare restare appena un guardare avanti, un rimboccarsi le maniche per ricominciare a “vivere”: qualcosa, insomma, che non potrà che essere - se dovrà davvero essere - spensierato & laborioso. 

La Guerra Fredda del resto è già agli inizi, e, preferendo un alleato vivo a un ex-nemico morto, gli stessi anglo-americani scelsero presto di non tormentare troppo i tedeschi con gli infiniti fantasmi del passato. Ma, anche a parte questi discorsi che uniscono smemoratezza e strategia, e restando al vissuto minimo dei singoli superstiti, proprio W. G.Sebald, nel suo capolavoro Austerlitz, racconta quanto esiziale possa essere ritrovarsi attirati – anche dopo decenni - nel gorgo del Rimosso degli ex-volenterosi carnefici di Hitler.

Prevalse così subito, nei racconti di chi sopravvisse al massacro (vedi anche il recentissimo La caduta di O. Hirschbiegel) appena un cliché di memoria, con “una singolare mancanza di contenuto” (W. G. SEBALD, Storia naturale della distruzione).

Nel caso di Erika-Marlene, gli sceneggiatori aggiungono a questo vuoto il massimo dell’intelligenza possibile e inventano una dama che conserva sempre l’occhio micidiale sia per la linea delle sopracciglia che per i rapporti di potere (tanto più dopo aver visto i secondi essere più labili e non meno ingiustificabili dei fatui giochi della moda…).

(Una versione in tutto identica sul piano morale, ma aristocratica e di eleganza dignitosissima, Marlene la dovrà offrire nel didascalico e coraggioso Vincitori e Vinti (1961) di Stanley Kramer: lì è l'aristocratica vedova di un generale giustiziato dagli americani come criminale di guerra, e la frase essenziale è sempre la stessa: Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo dimenticare.

 


 

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