“Vedete, una sola volontà regna ancora tra queste
rovine, volontà che ci spinge oltre ogni rispetto umano: sopravvivere.
Guardate me, per esempio, e pensate che tutto ciò che avevo mi è
sparito e sprofondato attorno: la patria, la fede, i principi… eppure
ho tirato avanti. Mesi e mesi ho passato nell’orrore dei rifugi
antiaerei, ed ho tirato avanti. Sapete che cosa voleva dire essere una
donna quando arrivarono qui i russi? Ho sempre tirato avanti. Ed era
un inferno. E poi ho trovato un uomo…”
(Scandalo internazionale, 1948, sceneggiatura
di B. Wilder, C. Brackett e
W. Reisch)
Posto che in certe circostanze sia
davvero concesso lo spazio d’una scelta, pare che non resti che
dimenticare o morire: che, dunque
- come azzardò dire ad Amleto il suo
patrigno omicida - l’essenziale
ingiustizia del sopravvivere sia sempre il dimenticare.
In mezzo allo sfascio sanguinoso della
Germania del ’46, è un’illusione davvero per poveri angeli che si possa
“ricomporre l’infranto…” (W. BENJAMIN, Angelus
Novus).
Scartato il suicidio (Roberto
Rossellini l’anno prima gira tra le stesse rovine
Germania anno zero), e con
almeno un’intera generazione di testimoni incapace di senso tragico
per quanto commesso (K. JASPERS, La questione
della colpa), pare restare appena un guardare avanti,
un rimboccarsi le maniche per ricominciare a “vivere”:
qualcosa, insomma, che non potrà che essere - se dovrà davvero essere -
spensierato & laborioso.
La Guerra Fredda del resto è già agli
inizi, e, preferendo un alleato vivo a un ex-nemico morto, gli stessi
anglo-americani scelsero presto di non tormentare troppo i tedeschi con
gli infiniti fantasmi del passato. Ma, anche a parte questi discorsi che
uniscono smemoratezza e strategia, e restando al vissuto minimo dei
singoli superstiti, proprio
W. G.Sebald,
nel suo capolavoro Austerlitz,
racconta quanto esiziale possa essere ritrovarsi attirati – anche dopo
decenni - nel gorgo del Rimosso degli ex-volenterosi carnefici di
Hitler.
Prevalse così subito, nei racconti di
chi sopravvisse al massacro (vedi anche il recentissimo
La caduta di
O. Hirschbiegel) appena un cliché di
memoria, con “una singolare mancanza di contenuto”
(W. G. SEBALD, Storia naturale della distruzione).
Nel caso di Erika-Marlene, gli
sceneggiatori aggiungono a questo vuoto il massimo dell’intelligenza
possibile e inventano una dama che conserva sempre l’occhio micidiale sia
per la linea delle sopracciglia che per i rapporti di potere (tanto più
dopo aver visto i secondi essere più labili e non meno ingiustificabili
dei fatui
giochi della moda…).
(Una versione in tutto identica sul piano morale, ma
aristocratica e di eleganza dignitosissima, Marlene la dovrà offrire nel
didascalico e coraggioso Vincitori e Vinti
(1961) di Stanley Kramer:
lì è l'aristocratica vedova di un generale giustiziato dagli americani
come criminale di guerra, e la frase essenziale è sempre la stessa:
“Se vogliamo
sopravvivere, dobbiamo dimenticare”.