"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numeri 15,giugnoe 2011

 

La vera historia del dottor insaniens e di mr joan baptiste littlebigbens

di Giovanni Campi


 

“Mi rincresce di cadere nel convenzionale,
ma è proprio andata cosí.”
(C. E. Gadda, La Madonna dei Filosofi)

 

(Tutto quel che avviene lassú, è scritto apparentemente quaggiú.)

Racconta la Storia, che, una volta che sen suonò l’ora, suonato ne rimase altresí il doctor Insaniens, il quale, a dispetto della sua ininnescitia, e a petto del suo dementecapto cerebro - leso d’allor ché ne ebbe da parte a parte l’attraversamento del projetto, - fu appunto proprio la sua testa a esserne colpita, e l’objetto era non dicasi mai altro se non men che simillimo alla freccia odìssea, questa oltre passando le dodici scuri e non fallendone l’anello, quello le pliche tutte involte come mallo e d’esse fuori uscendone, ma quasi senza colpo ferire, quasi, se non con un coup de théâtre, obscœnandone una messa in scena in odor e di suffragj universi e, in contradicto, di suffragette multiverse, obscœmandosi, per altro verso, il cosmo & il caos, e la coesistenza di passaggj dall’uno all’altro, il loro fondersi confuso: per dirla in una o in la trina parola, la caocosmotica de l’oggidiana farsotragœdia.

“Ecco, sono qui per ben servirla, mio caro Signore, mio orologiajo matto” – disse, in men che non si dica, l’oscuro ingegno dottorante.

“La mi è caro il saper che finalmente or l’è guari’!” – gli rispose Mr Joan Baptiste.

“Toh! Lei intende, parlando d’altro, significantarci l’addivenire d’addietro, come d’un ripresentarsi ciclociclico dello stesso tempo d’altri tempi?”

“Lasci pure a me ogni metro & mensura, ogni peso & pensiero, ogni prodotto & divisione, non vorrà, chiedo, e per cosí poco poi, forse di nuovo dar di bizza & congedo, d’isterìa & nevrastenìa, d’ossedio narcissico & spossesso della propria proprietà? non vorrà, chiedo,    e per cosí nulla, forse ancora per una volta alterare la sua persona? Non è questo il luogo, non è questo il tempo; e né meno è il luogo e né meno è il tempo per una qualsivoglia azione.”

“Ah, no?” –  si chiese Insaniens.

“Non è quel luogo, è un luogo senza luogo; non è quel tempo, è un tempo senza tempo. E luogo & tempo son dove & quando l’azione non ha luogo d’essere, né tempo per.”

“Ma Lei, Lei non era perito?”

“Forse anch’Ella è perito, chi sa?”

“Ah, sí?”  –  si chiese Insaniens.

“O forse lo era. E ora, quali che siano le ore che sono, tutto va bene.”

“Ah,… sí, certo. L’anima, lo spirito, la ruota. Magari sono le cinque: Le aggrada un minuto pasticcio?”

“Ecco, un’anima semplice, come la Sua, un motto di spirito, quale che pronunzj, una fortuna, una vera fortuna!”

“Di verbigratia, assenti son forse  e i diverbj e le gratiae, del dolore, della colpa, dei diletti, della giòja? Lei non ha appetito, né sete di?”

“Principj di ragione insufficienti Le siano dunque le leggi: del moto dei corpi immoto, del riflesso degli speglj irriflesso, dell’azione degli

ingranaggj  inagente.”

“Che ne discende, d’inferi inferendo, se non una machina? e chi il meccano, dei fatti & sfatti? e quale  la meccanica: la leva, l’innesto? che sen eleva, i superi superando, se non una nave, che navighi caelicola? anche oceano, il maremagno, non ebbe forse le ali? che sen infra, se non una cella, che exagoni il grand’ago, e la sua cruna infili di fili illogici e sbussoli & scombussoli, e questo & quello ingroviglj & imbroglj di nodi & nodi scorsoj & gordj? che sen extra, se non una parte del tutto, una minuta parte, una particella, una particella da marionetta, da burattino, questi men che personaggj  pel teatro di nulla?”

“Per rendere ragione di cosiffatta exhibitione, che ha dalla sua una qual certa exemplarità nei passaggj da l’una a l’altra delle minute, e del minuto percepirne il dettato, la si direbbe, non senza enfasi, e un po’ alla grossa, ed exempli causa, una glossa all’appetizione che Le vien mangiandone e bevendone tutto: tutto, di quel che Le s’offre; tutto, di quel che n’offre.

“Ipotipotizzandone pure  l’impuro folle, e le folle impure, offresi forse l’anello mancante & mancato? non c’è forse desiderio se non di quel che manca, di quel che si manca, di quel che ci manca?

“Quanto manca ancora?”

“Disorganati oramai gli organi tutti d’informazione, in ispecie quelli di fonazione & gli auditivi, chi parla a chi, chi ascolta chi? ma anche gli occhi, e chi vede chi? e le mani: chi è tocco da chi?

“È la difficoltà di comunicare inesistenziale: chi piú parla? chi piú parla se non che di men dica?

“Né men di canti e né men di suoni s’odono, né ulissidi infingimenti da visionarj vedonsi, né archi & corde al cui tocco colpo su colpa scoccare. A ché organarne i garbuglj in broglj & scartafaccj o pezzo  a pezzo alcun ché di miniato & dimidiato inserirne per il disegno complessivo, per la forma definitiva & informe, per la mostra dei mostri sonnambuli & deformi: la pneumatica del buon diavolo, del povero cristo?

“Ecco, Lei è alla deriva.”

“Ne deriverebbe forse cosí una derivata, la derivata prima, primeva? la causa d’ogni effetto? E per darne il continuo, si continui pur nella discontinuità: un secondo allora, un secondo soltanto, un minuto primo secondo, da assecondare, ed ecco la seconda, ecco derivarne la derivata seconda. E ancora, ancora un altro, un terzo secondo, un terzo minuto primo secondo: un cubo, un incubo da incubare, la derivata terza. E di nuovo, e ancora di nuovo, e via cosí: l’ennesima infinita, in fine, e la transfinita, cioè a dire, l’insieme delle cause, le concause. Per un sono sfinito, per la fine della parola, per mettere fine alla parola, un articolo o due: un la, indeterminando il determinato, e viceversa; o insieme, uno & la, per dare fiato, e soffio, e alito, al ricominciamento.

“L’assassinio dell’io inutilmente io?”

“Chi, io?”

 

 

 

 

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