«Ti prego, Amleto, non
andare a Wittenberg» (Atto I, sc. 2) dice la mamma al figlio
vestito di nero e avulso dalla gioia della corte per il regno nuovo che si
annuncia. Amleto obbedisce, ma Wittenberg, dove pare non si beva neppure
forte abbastanza (Atto I, sc. 2), resta con lui. Wittenberg è sia
l’università di Lutero che del Dottor Faust di Marlowe: a restare
generici, una di quelle «università tedesche, maestre di occulti giochi
della mente…» (G. Manganelli, Un amore
impossibile, in Agli dèi ulteriori, Torino 1972). Essere un «sofista
educato a Wittenberg» fa di Amleto non solo per indole e sensibilità un
giovane vocato al «rovello del dubbio» (A. Strindberg, Amleto e Faust,
Milano 1988): si potrebbe esser tentati a vedere il rapporto tra
Wittenberg e Elsinore come quello tra teoria e pratica di quel rovello:
«Una svalutazione luterana delle opere buone e dell’azione umana, legata
alla “filosofia di Wittenberg” apre le porte alla malinconia e al
sentimento del lutto così evidenti in Amleto… - un vincolo unisce
genialità e malinconia» (G. Restivo, Percorsi della critica su Amleto,
in Tradurre/Interpretare “Amleto”, Bologna 2002).
E poi questo vizio forse non
solo da dandy di voler aver l’ultima parola sempre… l’arcicattolico De
Maistre vi riconosceva un segno dell’eresia luterana, perché solo i
protestanti «muoiono dalla voglia di aver ragione», e solo per questo
fanno ragionamenti così cervellotici… il che sarà un «sentimento
naturalissimo in qualunque dissidente, ma assolutamente inspiegabile in un
cattolico». (J. De Maistre, Sul Papa, 1819).
«…il luteranesimo
radicò nel popolo un rigoroso senso del dovere ma diffuse tra le classi
alte la melanconia. Già nello stesso Lutero, i cui ultimi due anni di vita
furono dominati da una crescente oppressione d’animo, si avverte un
contraccolpo alla svalutazione delle opere. Certo la “fede” continuava a
sostenerlo, ma ciò non impediva che l vita gli apparisse vuota.
Ma che cosa
è l’uomo
se il suo
maggior bene e il miglior impiego del suo tempo è,
per lui,
mangiare e dormire? Una bestia, nient’altro.
Certo chi
aprì alla nostra percezione un così vasto orizzonte
che vi si
può comprendere e scoprire il prima e il poi,
non ci
accordò il privilegio divino della ragione
per
lasciarlo, trascurato, ad ammuffire.
(Amleto,
atto IV, sc. 4)
Queste parole di
Amleto sono filosofia di Wittenberg, e insieme una protesta contro di
essa. In quella reazione violenta che aveva sgombrato il campo dalle buone
opere tout court, e non solo dal loro carattere di merito o di
espiazione, affiorava un ricordo di paganesimo tedesco, e con esso la cupa
fede nel potere del destino. Le azioni umane erano private di ogni valore.
Nasceva un nuovo mondo: un mondo vuoto. (…) Ma la vita si ribellava. In
profondo, essa avverte di non essere lì per farsi svuotare dalla fede. In
profondo, essa avverte un moto di orrore all’idea che l’intera vita possa
svolgersi così. In profondo, essa si spaventa al pensiero della morte. Il
lutto è quello stato d’animo per cui il sentimento rianima il mondo
svuotato gettandovi una maschera, per provare un piacere enigmatico alla
sua vista…»
(W.
BENJAMIN, Premessa gnoseologica a Il dramma barocco tedesco,
Torino 1999)