«Sì, sì, stavolta ci siamo, è il disastro. Oh, l’ho sempre detto io,
che siamo maturi per l’annessione. Il principe Fortebraccio di
Norvegia una di queste mattine ci fa la festa. Ma io ho gi convertito
il mio piccolo peculio in azioni norvegesi. Però tutte queste storie
non mi impediscono di farmi un bel bicchierotto, domani.»
(Jules Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)
«Non tutto è perduto: restano i barbari»
(E. M. Cioran,
La tentazione di esistere)
Altro che
rigidità della vendetta: se scambia l’intera Danimarca per un bordo di
Polonia, vuol dire che neppure per Fortebraccio la vendetta è sacra,
ma che piuttosto cerca un “Shock and awe”, come diceva Bush, con
chiunque e purché sia: più che passioni, ormoni. Il «sogno di
dominio»
(Atto I, sc. 2)
scade a rodomontata e messa in scena: come l’Italia fascista che
urlacchia su mondi da sottomettere e poi invade l’Albania.
Sinonimo di
VagaTesta… un Rombo di tuono, un Terminator un-due-tre, un Patton
giovane, e cioè un buon uomo da guerra, soldato saldato al dovere
della battaglia, un tutto d’un pezzo, un tutto sano che non si volta:
quale politico guerrafondaio non ha sognato un capo d’eserciti così? -
«Egli ha il mio voto di moribondo» (Atto V, sc. 2). -
Fortebraccio, insomma, prendila la Storia: è tua! E tu sei suo. Lo era
già da sempre. Mentre il mio
voto è sempre stato da moribondo- «he has my dying voice»...
«Ed ecco che
arriva un giovanotto sano e vigoroso e con un affascinante sorriso
dice: “Portate via questi cadaveri. Adesso il vostro re sono io”.»
(J.
Kott,
Shakespeare nostro contemporaneo,
Milano 2006):
«questa sicurezza sta piuttosto a indicare un oblio della coscienza,
cioè un porsi fuori dalla possibilità di poter esser richiamati. La
“certezza” in questione porta con sé il tranquillizzante dissolvimento
del voler-avere-coscienza» (M. Heidegger,
Essere e tempo,
Torino 1955);
«L’esserci cade da se stesso e in se stesso nella infondatezza e nella
nullità della quotidiana inautenticità. Lo stato interpretativo
pubblico nasconde però questa caduta, che è interpretata come
“perfezione” e “vita vissuta”.» (Ibid.).
Al perfetto Fortebraccio l’ultima
parola prima del sipario che, nota Bloom, è «sparare» (H. Bloom,
Shakespeare, Milano 2003): «Go, bid the soldiers shoot.»
(Atto V, sc. 2).
Dice Hegel: «una conclusione
soddisfacente.» (G. W. F. Hegel, Estetica). Ma solo per
chi crede che il reale sia razionale, e il razionale buono: «anche
dopo l’avvento di Fortebraccio i tempi rimangono fuori sesto» (G.
Baldini, Manualetto shakespeariano, Torino 1967). Perché,
se avesse vinto Amleto, sarebbe stato meno marcio il mondo e di nuovo
in sesto il mondo?