"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9, dicembre 2004

 


Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

6.  Realtà & Delirio

 

 


 

Céline

 

“Allora, lei sarebbe un cronista?

Né più né meno!...”

(F. CÉLINE, Nord)

 

Ci si vendicherà di più della realtà bolsa e assassina smascherandone i trucchi e dicendola per quello che è, o saltandosene via a piè pari, in aree almeno psichiche dell’essere, ben più interessanti di tutti i papà Goriot e le cugine Betta della terra? - Attenzione, però, perché “non usciremmo di prigione, se raccontassimo la vita come la conosciamo, a cominciare dalla nostra” (Hommage à Zola - 4 ottobre 1933; ora in: Céline e l’attualità letteraria)

 

A volerla dire, allora, la travolgente atrocità delle cose richiederà scrittori titanici (“Già Zola aveva bisogno di un certo eroismo...”: Ib.) , dalla forza e dalla lucidità abnormi, confrontabili solo con quanto di meglio ha saputo fare quell’altra grande nemica del sogno che è la scienza:

 

l’opera di Zola somiglia, per certi versi, all’opera di Pasteur, così solida, così viva ancora, in due o tre punti essenziali. In questi due uomini noi ritroviamo, trasposti, la medesima tecnica meticolosa di creazione, la stessa cura di probità sperimentale e soprattutto lo stesso fantastico potere di dimostrazione”  (Ib.)

 

Detto così, Zola è un buon papà per il giovane dottore che ha appena raccontato la guerra - un orrore conradiano moltiplicato per n - e che nelle interviste riconosce per maestri non scrittori ma medici  (vedi sempre le interviste raccolte in: Céline e l’attualità letteraria).

 

A proposito di dottori, anche se qui non lo cita, Céline aveva letto Freud

Nell’Omaggio a Zola si sente soprattutto Al di là del principio di piacere  (1920), e quell’idea della “pulsione di morte” come forza interna e fatale che poi “esplorerà copiosamente” (PH. ALMÉRAS, Céline). - E infatti leggi: “L’unanime sadismo attuale deriva innanzitutto da un desiderio del nulla profondamente radicato nell’uomo e soprattutto nelle masse umane, una sorta di impazienza amorosa, più o meno irresistibile, unanime, per la morte”; “Quando osserviamo di quali rancidi pregiudizi, di quali putride frottole può alimentarsi il fanatismo assoluto di milioni di individui che passano per evoluti, istruiti nelle migliori scuole d’Europa, siamo autorizzati certamente a chiederci se l’istinto di morte nell’uomo, nelle sue società, non domini già definitivamente l’istinto di vita. Tedeschi, francesi, cinesi, valacchi. Dittature o no. Solo pretesti per giocare alla morte” (Hommage à Zola, op. cit.).

 

Raccontare la realtà sarà allora immergersi in buchi neri - gli uomini! - di forze non solo orribili ma anche deliranti, senza che a un qualche Bene sia mai possibile ancorarsi: cosa tornerà da un viaggio al fondo di quella notte?

 

E allora addio anche a Zola che “credeva nella virtù; pensava di provocare orrore nel colpevole, non di farlo disperare. Noi oggi sappiamo che la vittima richiede sempre martirio, non ne ha mai abbastanza. Abbiamo ancora il diritto, senza ridicolaggini, di far figurare nei nostri scritti una Provvidenza qualsiasi? Bisognerebbe avere una fede robusta. Tutto diventa più tragico e più irrimediabile man mano che si penetra di più nel destino dell’uomo. Man mano che si cessa di immaginarlo per viverlo così com’è realmente... lo si scopre” (Ib.).

 


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