"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

16.  Scrivere, per esempio, Zibaldoni

 

 

 


La carne troppo forte sull’anima  e l’anima 

sulla mente, Fisico > affettivo > intellettuale. 

(P. Valéry, Quaderni, vol. 1)

Provando a imparare qualcosa per contrasto, come succede per esempio con le prove dei detersivi,  cosa succederà a tenere fianco a fianco i Cahiers di Paul Valéry e lo Zibaldone di Leopardi? Proprio perché esempi di due possibili modi d’operare sostanzialmente antagonisti!...

Da una parte, infatti, Leopardi per drastica carenza di vita costretto ad essere solo Scrittura (più di 4.000 pagine in quattro anni!), soffre nella sua gabbia di Puro Genio, “uccello” profetizzato già da sé in una delle “puerili” che puoi leggere anche qui, e che però sbatte continuamente contro le sbarre d’una Vita Subìta... 

Di ciò, Paul Valéry - a credergli - avrebbe goduto altissimamente: per la sua progressiva e castrante sublimazione cartesiana (vedi il volume n.5 dei Quaderni!), per la sua utopica pervicace abolizione della “res extensa” quale carnoso residuo accidentale di un Pensiero Puro? - A Recanati, si sarebbe ridotto ben prima a Monsieur Teste, borghese macrocefalo, tutto neuroni e sinapsi, sgravato di biografia e di bios tout-court, capace solo, e finalmente, d’algebra e purificazione... 

Si cerca allora sempre e solo ciò che manca? 

Il contino recluso, coerente allo spasimo con lidea che “il corpo è l’uomo” (Dialogo di Tristano con un amico), anche con il suo Zibaldone, scrive “una storia del corpo” (A. PRETE; Pensiero poetante); mentre il libero ed acclamato Accademico di Francia gioca il gioco dell’autoreclusione dalla sterminata impurità della Vita?

 

L’operazione di Valéry - come quella di Leopardi - non può che raffinare assieme linguaggio e pensiero: nel suo caso però per qualcosa di iperuranico, gelido, spietato e quindi “vero”: Leopardi sensuale e sensista, sulla scorta di Beccaria, direbbe che quest’uomo cerca “termini” e non “parole”? 

 

In ogni caso, come per tanti platonici coscenziosi, per Valéry arrivarci, al Vero, vuol dire spolpare, scarnificare, disossare... - Così, lì dove il Francese scova la geometrica verità prima celata da apparenze casuali e bizzose, Leopardi non disconosce il frutto ottenuto da cotanta costanza, ma chiama il risultato di un tale streape tease delle libidinose apparenze “scheletro”: e come tale lo saluta.


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