"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8, luglio  2004

 


Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi

 

 

14.  Scemenza della ragionevolezza

 

 

 


 

“la ragione senza notizia del sistema del bello, delle illusioni,

entusiasmo ec. e di ciò che spetta all’immaginazione e al cuore,

è essa medesima un’illusione e un’artefice di mitologia,

come lo sono le dette cose” (Zib. 1841)

 

Essendo la vita più grande della verità, è vero solo ciò che serve, e solo finché serve.

La verità è “necessaria all’uomo, soltanto come unico fondamento di quelle credenze che sono necessarie alla sua vita, perciò tutta quella parte di verità che non serve di fondamento a queste credenze, è indifferente all’uomo, anzi nociva, anche nello stato presente di corruzione” (Zib. 414).

 

Che sui poteri della Ragione sia sempre necessario tornare a definire i fondamentali?

Intanto: è la Ragione che è parte della Natura, e non viceversa. E questo, posto che non si sappia niente di Kant e di Rousseau, lo leggi proprio all’inizio dello Zibaldone scritto nel modo più semplice possibile: “la natura è grande, la ragione è piccola” (Zib. 14).

 

Scriverà Jaspers, a proposito delle presunzioni della Ragione, grande inventrice di metodi e scienze, che sarebbe curioso e paradossale che l’uomo si lasciasse giudicare tutt’intero da qualche procedura - solo perché “scientifica” e “tecnica” - inventata da lui stesso.

Sarebbe come ritrovarsi a subire la sindrome di Stoccolma per un rapitore-automa creato da noi stessi. Il che avrebbe senso per un Pigmalione che s’incanta per le belle donne che crea, meno per un Frankenstein ingegnere di neuroscienze, psicologie, matematiche, informatiche, ecc.: potremmo ritrovarci ad obbedire a qualcosa di peggio del computer pazzo di 2001. Odissea nello spazio!

 

Una ragionevolezza del tutto depurata dalla sua origine poetica, e cioè umana, sarebbe follia distillata, disumanità al suo grado eccelso: “Chi non conosce la natura, non sa nulla e non può ragionare, per ragionevole ch’egli sia. Ora colui che ignora il poetico della natura, ignora una grandissima parte della natura, anzi non conosce assolutamente la natura, perché non conosce il suo modo di essere.” (Zib.  1834-5); “La stessa essenziale inimicizia della ragione colla natura la pone in necessità di perfettamente conoscerla, il che non si può senza sentirla” (Zib. 1842).

Come si legge in Kant, ciò che chiamiamo “verità” è una zattera sul mare insondabile del mondo; noi stessi siamo fatti molto più di mare di quanto siamo zattera. Per quanto sapienti saremo allora di noi stessi, l’essenziale resterà, come pensava Wittgenstein, comunque oltre il bordo delle parole: pulsante e indicibile. 

 

Leopardi anticipò straordinariamente la necessità di un pensiero che nella sua essenza deve restare sempre poetico e sentimentale: “perchè la stessa freddissima ragione ha bisogno di conoscere tutte queste cose, se vuol penetrare nel sistema della natura, e svilupparlo. L’analisi delle idee, dell’uomo, del sistema universale degli esseri, deve necessariamente cadere in grandissima e principalissima parte, sulla immaginazione, sulle illusioni naturali, sul bello, sulle passioni, su tutto ciò che v’ha di poetico nell’intero sistema della natura. Questa parte della natura, non solo è utile, ma necessaria per conoscer l’altra, anzi l’una dall’altra non si può staccare nelle meditazioni filosofiche, perchè la natura è fatta così.” (Zib. 1833).

 

Già solo per esistere, non meno dei vecchi esausti e degli adolescenti innamorati, anche “la geometria e l’algebra hanno bisogno della poesia” (Zib. 1839): senza l’euforia della conoscenza, infatti, la scienza non produrrebbe teoremi ma suicidi.

 


  torna a 

 

        torna su