"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8 luglio 2004

 

Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi


 

 

 


 

14.  Pensare senza cura 

 

 

“Amelio, filosofo solitario...

 ...co’ suoi libri, seduto all’ombra... 

...scosso dal cantare...” 

(Elogio degli uccelli)

 

Amelio (già il nome: “quello che non si preoccupa”, lo “Spensierato”!...), direbbe imperturbabile Aristotele, vive un classico caso di thaûma

Vale a dire: lo stupore e la meraviglia per qualcosa di incantevole, che lo distoglie da sé, rendendolo dimentico dei libri che ha in grembo, sperdendolo a svolacchiare con lo sguardo e il pensiero tra i guizzi e i ghirigori degli uccelli: i volanti canterini! 

Come accade in ogni vero caso di thaûma, da qui in poi Amelio “ascolta e pensa”.

La letizia incorreggibile dei canterini arriva al filosofo - come il passero famoso - “solitario”,  e lo contagia. Come una guida improvvisa al creato, gli uccelli gli regalano uno sguardo più placato e gioioso su tutte le cose. Come nel primo giorno della creazione, quando Dio si rallegrava della sua magia, anche gli uccelli “si rallegrano sommamente delle verzure liete, delle vallette fertili, delle acque pure e lucenti, del paese bello.” - Qualcuno oserà pensare che per questo vadano presi per stupidini?

Il celebre De Robertis (sempre bellissimo il suo commento ai Canti!), arrabbiandosi con Gentile pare proprio che lo pensi: “...l’Elogio degli uccelli a noi non sembra né «una lirica stupenda», né, tanto meno, una lirica «sgorgata al guizzo di una immagine lieta e ridente». A Leopardi, nonostante la sua eroica costanza, queste fortune erano fatalmente negate.” (G. DE ROBERTIS, Saggio su Leopardi). - Addirittura fatalmente...

Chissà. Intanto noi di quel paradisiaco stupore leggiamo il resoconto, e dunque un Elogio, genere antico e prestigioso, già abusato in tutte le varianti, dall’encomio tragico dell’eroe morto alla lode paradossale - essenziale già nelle scuole dei sofisti! - o francamente comica della poesia più burlesca. 

Potrebbe dirsi che, come gli era perfino naturale, Leopardi sappia tenere insieme anche in queste pagine dorate tutti i registri possibili. - Certo è che sciorina anche qui una “erudizioncella”, un bric-à-brac di letture e scritture deliziosamente - come amava dire - “a caso”, per perorazioni da Dulcamara fantasmagorico: e dunque, riprende i frammenti dello Zibaldone sugli uccelli e li intreccia con l’Histoire naturelle des oiseaux di Buffon, il coro degli Uccelli di Aristofane, il Trattato sul riso di Joubert, e chissà quant’altro... 

A rigore, è uno scialo, un mozartiano spreco di talento, proprio del tipo che fece commentare all’imperatore il Ratto del serraglio  con il celebre “troppe note!”

“Il tema della perfezione naturale (...) è amplificato nell’Elogio con sbalorditiva abbondanza e malizia, accentuata dal tessuto linguistico prezioso, elegantissimo, fuori della media, per ragioni che le Operette non argomentano.” (L. Cellerino, Le Operette morali, Letteratura Einaudi). Ne nasce l’operetta “più impropria nel tessuto d’un teatro filosofico e la più vicina ad un intreccio, non soltanto stilistico, tra narrazione e lirica” (A. Prete, Il pensiero poetante).

Per classificare lo strano animale finale, Liana Cellerino parla ancora di “novella”, mentre Antonio Prete azzarda “poème en prose”.

(Il non argomentare è un tratto costante di molte Operette; per controcanto può notarsi che chi ci prova, come l’Islandese, non è detto faccia una buona fine).

 


 

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