"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8 luglio 2004

 

Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi


 

 


 

1.  Del sollazzo

 

 “Sono gli uccelli naturalmente 

le più liete creature del mondo.”

(Elogio degli uccelli)

Operetta scritta, come quasi tutte le altre, in pochissimo (4 giorni, dal 29 ottobre al 1° novembre del 1824), anche nell’Elogio si scoprì a posteriori una quintessenza folgorante di mille pensieri, costantemente sparsi nel mare sterminato dello Zibaldone, a proposito della felicità possibile a ogni vivente.

 

Nel gigantesco scartafaccio, gli uccelli sono infatti da subito la vita “più perfetta” possibile sulla terra. Già nel 1820, a ventidue anni, Leopardi scriveva del “finissimo magistero della natura”, la quale ha voluto gli uccelli come “i cantori della terra,  e come ha posto i fiori per diletto dell’odorato, così gli uccelli per diletto dell’udito. Or perché la loro voce fosse bene intesa, che cosa ha fatto? Gli ha resi volatili: acciocché il loro canto, venendo dall’alto, si spargesse molto in largo. Questa combinazione del volo e del canto non è certamente accidentale” (Zib , 158-9).

L’entusiasmo rende dunque un Leopardi già ateo addirittura teleologico, né il progressivo radicalizzarsi della “svolta filosofica”, per un nichilismo sempre più coerente necessario ed estremo, ne cambierà l’afflatto nell’operetta del 1824: “fu notabile provvedimento della natura l’assegnare a un medesimo genere di animali il canto e il volo; in guisa che quelli che avevano a ricreare gli altri viventi colla voce, fossero per l’ordinario in luogo alto; donde ella si spandesse all’intorno per maggior spazio, e pervenisse a maggior numero di uditori. E in guisa che l’aria, la quale si è l’elemento destinato al suono, fosse popolata di creature vocali e musiche” (Elogio).

In cima alla scala della creazione, molto più in alto dell’uomo - e anche molto più dell’estrema e solo “saggia” ginestra - gli uccelli sono gli esseri più belli, e i più capaci di gioia e libertà. Per dirlo, Leopardi sceglie la parola più concreta e meno metafisica possibile, sollazzo: “vanno e vengono di continuo senza necessità veruna; usano il volare per sollazzo...”.

Altro che Kierkegaard che vede nell’ipercinetico don Giovanni il sintomo d’un’angoscia e un horror vacui immedicabili! Come poi per Nietzsche, proprio l’abbondanza di movimento e varietà fa vive e compiute le anime degli uccelli, come non è concesso ad altri: “E siccome abbondano della vita estrinseca, parimente sono ricchi della interiore” (Ibid.).

 


 

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