"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 7, maggio 2004

 


"Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodskij

 

 

6.  Esilio

 

 

 


Lingua russa: "carne sonora e parlante"

(O. MANDEL'STAM)

 

Non mi farò illudere nemmeno dalla lingua

natia, dal suo latteo appello.

Per me è indifferente in quale lingua

non essere capita dal primo incontrato! 

(M. CVETAEVA)

 

 

 “Per uno che fa il mio mestiere la condizione che chiamiamo esilio è, prima di tutto, un evento linguistico: uno scrittore esule è scagliato, o si ritira, dentro la sua madrelingua. Quella che era, per così dire, la sua spada, diventa il suo scudo, la sua capsula. Quella che all’inizio era una liason privata, intima, col linguaggio, in esilio diventa destino – prima ancora di diventare un’ossessione o un dovere. Una lingua viva ha, per definizione, una propensione – e una propulsione – centrifuga; cerca di abbracciare quanto più terreno è possibile – e quanto più vuoto è possibile. Da qui l’esplosione demografica, e da qui il tuo autonomo viaggio verso l’esterno, in quello che è il regno del telescopio o di una preghiera” (Profilo di Clio).

 

Perdita delle Madri e del paesaggio, la passione dell'esilio attraversa il corpo della vita come una ferita immedicabile: il qui troppo qui, il là troppo là (Marina Cvetaeva); né resta una scelta (Le persone della mia generazione non sono minacciate da un triste dover tornare - non sapremmo dove...”, Anna Achmatova).

La morte, invece di restare acquattata sotto il bordo destro della vita, sceglie di aprire la sua faglia nera al centro, dilaniando in parti non più componibili. Allora il tempo si fa nemico definitivamente, e la fatica imcompibile di rinascere corrisponderà a l'estremo tentativo di sfuggire alla percezione del mondo come una strada a senso unico (Ibid.).  

 

Come da ogni morte, fioriscono rare bontà, infiniti dolori: “se c’è qualcosa di buono nell’esilio è che insegna l’umiltà. Si può perfino arrivare a dire che quella dell’esilio è la più alta lezione di umiltà, la lezione definitiva” (Ibid.). Ma succede anche che l'Io dell'esule, “non più frenato da nessuno (…) cresce rapidamente di diametro e alla fine, pieno di CO2, innalza il nostro uomo al di sopra della realtà – specialmente se risiede a Parigi, dove i fratelli Montgolfier stabilirono il precedente.” (Ibid.). 

 

Essenzialmente, dunque, una perdita senza ritorno: “Uno scrittore in esilio è tutto sommato un essere retrospettivo e retroattivo (…). Come i falsi profeti di Dante, il nostro uomo ha la testa perpetuamente rivolta all’indietro e le lacrime, o la saliva, gli scorrono giù tra le scapole.”. Soprattutto: “…forse l’esilio rallenta l’evoluzione stilistica sospingendo uno scrittore verso posizioni conservatrici. Lo stile non è tanto l’uomo quanto il sistema nervoso dell’uomo, e l’esilio, tutto sommato, non fornisce ai nervi tutti gli agenti irritanti che può fornire la madrepatria.”  (Ibid.). 

 

Da ciò, solitudini senza fine, non necessariamente nostalgiche. Anche perché scrivere pare sia già esilio. Detto in schietto modo impiegatizio: per chi lavora nel nostro ramo, parlare al vuoto è cosa di tutti i giorni.” (Dolore e ragione).

 

"la separazione è sorella minore della morte. Per chi rispetta le ragioni del 
destino, v'è nel commiato una sinistra animazione nuziale."
(O. MANDEL'STAM) 

 


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