"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 7 maggio 2004

 

"Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodsky


 

 


 

1.  Venezia prima di Venezia

 

Per un cittadino dell'U.R.S.S., “il resto del mondo non è altro che geografia” (Intervista a Brodskij, minimum fax), e tutta la conoscenza dell'Occidente una - precisissima! - conoscenza per assenza (vedi un po' tutti i saggi: Fuga da Bisanzio, Il canto del Pendolo, Dolore e ragione, Profilo di Clio...).

Ma non solo per un russo, ma per ogni uomo della Terra, Venezia - più ubiqua di Atlantide - sarà almeno un pregiudizio fulgente, un grande fantasma concavo, raggiungibile all’istante già solo chiudendo gli occhi.

“…una ragazza che corteggiavo mi regalò per il compleanno una serie di cartoline di Venezia, di quelle che si aprono a fisarmonica. 

Appartenevano, disse, a sua nonna, che era andata in Italia in viaggio di nozze quasi alla vigilia della prima guerra mondiale. Le cartoline erano dodici, color seppia, su povera carta giallognola. Me le regalò perché in quei giorni avevo appena finito di leggere due libri di Henri de Régnier e ne avevo ancora la testa piena. Tutt’e due avevano per scenario una Venezia invernale, e io non parlavo d’altro.”  

(I. Brodskij, Dolore e Ragione p. 24)

 

Tra kitsch e sublime, plastica ed elegia, Venezia lascia tracce ovunque, perfino tra paccottiglia e illusione, nella più ingenua gondola sospesa in una nevosa sfera di vetro (Made in Taiwan? China? Corea?).

Viene in mente Leopardi, e proprio per dargli torto: perché non è vero che solo le promesse illuse del desiderio conoscono l’estasi fittizia dell’infinito, mentre la vita reale sarebbe fatta solo per tradire il sogno. Nessun sogno vale la vera Venezia.

Anche Brodskij amò Venezia prima di vederla, e gli oggetti che accesero le premonizioni dell’amore furono squisitamente minimi, del tutto proprî a quel mondo di buone cose di pessimo gusto dal quale, del resto, nessuno mai scampa davvero. Nei ricordi di Dolore e ragione li trovi tutti.

In Fondamenta invece racconta dei libri veneziani di Henry de Régnier, a loro volta non sublimi, che gli avevano riempito la testa da ragazzo: 

“Le storie erano un incrocio tra il picaresco e il poliziesco, e almeno una, quella che per me continua a chiamarsi Svaghi provinciali, si svolgeva a Venezia d’inverno. L’atmosfera era crepuscolare e pericolosa, la topografia era complicata da un gran numero di specchi; i principali avvenimenti si compivano dall’altra parte dell’amalgama, dentro un palazzo abbandonato… Il tema era il solito: amore e tradimento… Per uno nato dalle mie parti, la città che affiorava da quelle pagine era facilmente riconoscibile e sembrava un prolungamento di Pietroburgo, una sua proiezione in una cornice storica migliore e, ovviamente, a una latitudine migliore.” 


 

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