"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero Numero 7, aprile 2004                        


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

"Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodsky

 


 

 

19. Maurice Barrès

 

 

 


 

Barrès, qu'il brûle en paix!

Gobineau 

 

Faut-il brûler Barrès? Breton e i suoi non avevano dubbi: il tribunale della Salle des Sociétés Savantes, quel 13 maggio 1921, lo condannò a trent'anni di lavori forzati, risparmiandolo a onor del vero del trattamento privilegiato offerto di lì a poco alla memoria di Anatole France: giù la salma nella Senna!, “neppure da morto quest'uomo deve fare più polvere.” (Breton, Un cadavre, 1924) Cocteau fu assai meno inflessibile: giovane e volage, sulla scalinata della villa di Neully s'era abbandonato finanche al Sentimento, e quale addio prolungato in mille baci e moine e scambi di doni con l'Impresentabile, atrocemente paludato nel nazionalismo imperdonabile.

 

La Morte de Venise è tutt'altr'affaire. Nulla a che vedere col Barrès politico della Cocarde, “anima disgustata sino al nichilismo, l'Onore che s'erge solitario, simile a un castello nella landa bretone”, il famoso Principe della Jeunesse definitivamente sigillato nella bara della Fierté patriottarda, così retorica e così pompière, caricatura assediata da tricolori garrenti ed elmetti schidionanti... In Venise a scrivere è ancora il pallido dandy ritratto da Blanche: fiore all'occhiello e labbro schiacciato dal disprezzo; l’autentico filosofo disdegnoso del Culte de Moi, già abbandonato alle forze trepide dell'Istinto e dell'Inconscio… Perché, in fondo, “Riconosci in me la piccola scossa per cui ogni  particella del mondo testimonia lo sforzo segreto dell’inconscio. Dov’io non sono è la Morte, e io secondo ovunque la via” (Bérénice nel Culte de Moi).

 

Estetica sensista, Religione della Terra e il Sacro nella Primavera. La classica triade, dunque:  Sangue Morte e Voluttà; e nientissimo assenzio o maledettismo di risacca. Meglio una buona dosa di timor panico e niccianesimo in progress. Su tutto, la consapevolezza epicurea che le cose, hélas, anche loro scompaiono: “Cos'amo nel passato? La sua Tristezza, il suo Silenzio, e soprattutto la sua Fissità.”

Venezia ne risulta ischeletrita, depositata sul sudario di pagine agonizzanti e marcescenti; e il viaggio in laguna per così dire trasfigurato in un ritorno mitico -gli occhi listati a lutto, le gondole “bare mute (Blok) - verso ultima tappa prima dell’approdo all’isola boekliniana, e chissà se ci attende ancora il Dottor Moreau? “In qualche ora di gondola visitiamo la breccia, ove il silenzio e l'alito di morte, già di casa, profetizzano la fine della civiltà veneziana.” Un tramonto esangue.

 

Dunque nessun cedimento alla mitologia libertina e al folklore casanovista: le camere della musica e dell’amor pagano sono divenute cloache, e persino il vetro offre più alcuna consolazione: “A Murano nessuna trasparenza di vita futura, la civiltà morsa dall'opacità dell'umidore: è qui, nel mezzo dei fiori d'Oriente, che la notte rende più profumati, mentre l'onda culla le gondole a riva, è qui che i voluttuosi, gli amanti discreti e i politici giungevano per attardarsi sotto la maschera. Ma a traverso queste calli, questi canali oscuri, cinque secoli sono troppo contrariati dalla loro stessa decomposizione perché i medesimi amanti del romanesque, […] dell'estremo autunno, vi possano restare.”   

 

Solo rimane immune al disappunto l’isola dei morti, san Michele, dolorosa soglia della pietra inesausta: “Sempre si cercano altrove i precedenti che promettano alla bellezza una morte intatta. Sull'estrema laguna, degli isolotti per così dire ondeggiano, là dove i più begli oggetti s'inabissano senza compromettersi con le lutulenze della morte...” Per tutto il resto basti il monito di Toledo, o magari la lapide romana del più savio dei Barberini: Hic jacet pulvis, cinis et nihil.

 

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