"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero Numero 7, maggio 2004                         


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

"Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodsky

 


 

1. Dante

 

 


 

“Nel mezzo della vita, nella sua oscura selva,

l’uomo si volge indietro – come fosse un fuggiasco,

un criminale -, per un ramo che scricchiola, per uno scroscio

  d’acqua.

(da I. BRODSKIJ, Kellomäki”, in Poesie)

 

Vinegia – o anche solo “Rialto” -, come si sa, era città già perfettamente rapace e mirabile quando Dante veniva al mondo: “Pavimentum eius est mare, coelum est tectum” (Boncompagno da Signa, 1240)!

 

 

Venezia è “alter mundus”, scriveva Petrarca, anticipando quel riconoscimento della sua natura paradisiaca che torna costante in tutto Fondamenta!- All’opposto, ci sarà per veleno d’invidia tutto il lungo controcanto di calunnie dei fiorentini di Firenze: da Boccaccio (benché ospite fisso proprio del venezianissimo Petrarca! Casa a palazzo Molin sulla Riva degli Schiavoni, giusto tra san Marco e quell’Arsenale che darà a Dante uno dei suoi supremi quadri d’Inferno) a Villani a Sacchetti, e così su su fino al Cinquecento dei Medici…

 

Dante, se non veneziano, certo fu a lungo dei paraggi, avendo avuto nel “Veneto” (termine, malgrado politicanti teratologici, terribilmente moderno!) la sua patria seconda di esule curioso ed errante:

 

“La tradizione insiste molto su questi ricordi, dalla ruina dell'Adige all'arzanà dei Veneziani e al castello di Tiralli, dalle dighe dei Padovani lungo la Brenta al Bacchiglione, al Piave, al drappo verde di Verona, al padoano nel gruppo degli usurai (Reginaldo degli Scrovegni, accanto ad un futuro dannato padovano, Vitaliano del Dente), ecc. Il lettore del De vulgari eloquentia valuta la notevole esperienza che Dante possiede dei dialetti veneti: le sincopi deformanti dei participi dei Padovani, la citazione onorifica di Aldobrandino de' Mezzabati, il ricordo d'un canto veneziano, "Per le plaghe de Dio tu no verras", i crudi accenti degli abitanti di Aquileia e dell'Istria; al limite delle cose non "viste" ma sentite dire: i sepolcri di Pola, il Carnaro, ecc. Un commentatore rigoroso qual fu Benvenuto da Imola segnala la circostanza dell'incontro con Giotto a Padova, dove si vuol che il poeta ammirasse la cappella degli Scrovegni (dunque tra il 1304-1305)”.

(G. PETROCCHI, Vita di Dante).

 

I rari quadri - tanto che c’è chi ha scritto di Venezia “grande assente” (G. Fasoli) dell’enciclopedica Comedìa! - di Venezia e dintorni che ci ha lasciato Dante compongono non più di un affresco lacerato sul muro. In ogni caso già sorprendendo con il doppio indizio di una città più di fuoco che d’acqua: vedi, celeberrimo, il ribollire clamoroso dell’Arsenale (Inferno, XXI 7-18) e la visione entrata nella carne fino all’isteria del fuoco d’una fornace di Murano (Purgatorio, XXVII, 49-50).  - Appena fuori da queste fiamme laboriose, sperso tra il contorno di acquitrini e isolotti della laguna, l’omicidio dolentissimo di Iacopo del Cassero (Purgatorio, V, 73-85).

 

Né va naturalmente dimenticato che Dante per Venezia morì: “essendo tornato d’ambasceria da Vinegia in servizio de’ Signori da Polenta, con cui dimorava” (G. Villani, IX, 36), prese la malaria che nel 1321 lo uccise: come Brodskij, a cinquantasei anni.

 

(Questo Dante veneziano è in realtà fantasma in Fondamenta del tutto assente; per l’altro, quasi una filigrana di tante pagine essenziali del Russo, vedi, per esempio, le voci esilio impersonale, Kontesto: dove, anche se non citato, esplicitamente, Dante c’è).

 


 

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