"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 6 dicembre 2003

 

John Donne: otto poesie d'amore tradotte da Cristina Campo e Patrizia Valduga


 

 


7.  Lezione sull'ombra

La “minaccia pedagogica” – come la chiamò Manganelli – qui è garantita già dal titolo, trattandosi davvero, come annuncia il secondo verso - bellissimo -, di “A Lecture, love, in Love’s Philosophy”.

Non ci sarebbe, dunque, cha ascoltare: su questo il Poeta è del resto imperioso: “Stand still”!, dice subito… il liberty libertino di D’Annunzio non imporrà analoghi silenzi incantati all’inizio dell’iniziatica famelica e famigerata Pioggia nel pineto?

Poiché però, per restare all’Immaginifico “il verso è tutto”, qui ci salva la musica. La sequenza solipsistica del retore che sermoneggia è resa perfino fantastica per la leziosità delle rime, spesso perfino baciate, e la malìa delle alliterazioni. - Alle rime, come sempre, solo la Valduga è fedele (con i consueti rischi di ardua leggibilità che tanta aderenza al ‘significante’ comporta).

Tornando al Donne e ai mille rischi dell’Innamorato Saccente: qui si sfiora la pedanteria – cosa di peggio? – di certe grevi lettere alla fidanzata del per il resto grandissimo von Kleist!… ma forse solo Kafka (di Kleist ammiratore incondizionato) riuscì forse a farsi fidanzate (la povera Felice!) per palestre retoriche, senza quasi mai scadere a pedagogo della propria stessa Musa…

Invece, a leggere questo Donne dichiaratamente in cattedra (un narciso? un sadico? entrambi?), come non chiedersi se stia più amando la sua bella o il sé stesso che parla?

Irresistibilmente, per impertinenza umorale, vien da pensare a un volto di donna vero che ascolta gentile la “Lecture” con tutti i suoi concettismi inappuntabilmente artificiosi:… la Kim Novak di Baciami, stupido?, la Marylin di “Quando la moglie è in vacanza”, benché solare e sensuale, frigidissima ai Bum-Bum! del pianoforte catastroficamente galeotto di Rachmaninov?

Quanto al 'tema' della Lezione, siamo nell’ennesima variazione sulla fobia di Donne per il Tempo che passa, che tutto trasmuta e corrompe fino al definitivo annichilimento: destino di pace che, tra i contemporanei, giusto un Amleto agognerebbe.

Forse il mutabilissimo Donne - che carriera! anzi che carrier"e"!... - non uscì in realtà mai da una sola ghirlanda di pensieri: se qualcosa diventa prima o poi niente, è perché nella sua essenza lo è stato da sempre! Solo infatti ciò che sfugge all’orrore del Tempo può dirsi “Essere”: e cioè? In pratica giusto un paio di cose: Dio e l’amore tra John Donne e Anne More.

Siamo ancora e sempre in piena nevrosi d’Occidente (quando mai finirà?): un po’ come Faust che vuole l’attimo da “fermare” intatto ed eterno, Donne – che quell’attimo non l’agogna ma già lo possiede (!), vuole giusto che si fermi: un sole bloccato nel suo mezzogiorno senza ombre. Restando per sempre nell'“audace chiarezza” (Valduga”) nella “luce coraggiosa” (Campo) di una canicola inesorabile. I mediterranei Ungaretti e Montale nella stessa luce avrebbero riconosciuto una figura della morte. 

Come tutte le utopie, come si vede, qualcosa di orribile: fossero stati inclementi gli dèi, gliel’avrebbero concesso.

*°*Su questo vedi anche Ombra di ombre*°*


 

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