"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 6, dicembre 2003

 


John Donne: otto poesie d'amore tradotte da Cristina Campo e Patrizia Valduga

9.  Concettismi

 


Vacua gonfiezza, iperletterarietà pretenziosa, mal applicata sottigliezza, ecco i capi di imputazioni addebitati al Concettismo: una maniera dilettantesca di titillare l'acume, ingegno greggio nell'innalzar templi al modo del folle Dietterlin, architetto cinquecentesco, antenato del savio Doktor Schweitzer.

Gli strali critici si scatenavano proprio su questa mania secentesca per l'affastellamento, sorta di irrefrenabile penchant per il culteranismo, altrimenti detto propensione alla poesia erudita e artificiosamente abborracciata, dove predomina l'emblematica e l'araldica sullo scevro versificare. Emanuele Tesauro  nella sua "elocuzione non solo arguta, ma ludica" del Cannocchiale aristotelico (1655) ne dava testimonianza inchiodante:

 

"La Metafora tutti gli oggetti a stretta li inzeppa in un vocabulo: e quasi in un miraculoso modo gli ti fa travedere l'uno dentro l'altro onde maggiore è il tuo diletto: nella maniera che più curiosa e piacevol cosa è mirar molti obietti per un istraforo di perspettive, che se gli originali medesimi successivamente ti venissero passando dinanzi agli occhi."

 

E Benedetto Croce poteva, allora, sentenziare che "l'ingegnosità...  direttamente considerata non poteva essere arte, perché consisteva in un atto pratico, nella finzione di un pensiero, e di un sentimento, in un gioco, nato e coltivato negli ozii della vita cortigiana e accademica e diretto ad ammazzare il tempo col solleticare l'intelletto senza veramente esercitarlo e nutrirlo nella ricerca e osservazione del vero. Era essa, dunque, un vuoto teoretico" (Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, 1911).


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