"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003

 


Interviste impossibili  di Giorgio Manganelli

 

 

 

 

10. Conversari con-citati

 


L'angelo della conversazione ci prende per i capelli come un profeta 

J.A. Barbey d'Aurevilly

 

Sghignazzava descrivendosi  "uomo affatto insocievole, scostato e scostante, avarissimo di parole, castissimo di gesti, astemio da qualsivoglia coinvolgente passione; infine, ingrato agli altri, a me stesso oneroso" (Hilarotragoedia), eppure Madame de Geoffrin o Madame du Deffand avrebbero fatto la lotta a colpi d’esprit de Rambouillet per aggiudicare al loro salotto un simile principe della Favella, più che cruscante dicitore di fanfole. "Non ho mai ascoltato nessuno parlare così. Come un  grande predicatore o un papa rinascimentale o un diplomatico secentesco, ostentava gerundi, participi presenti, parole rare, proposizioni subordinate dentro altre proposizioni subordinate, piuccheperfetti, con una esattissima consecutio temporum, nutrendosi avidamente di parole, sanguinanti arrosti di sostantivi, colorati contorni di aggettivi, folleggianti salse di verbi e di avverbi." (Pietro Citati, "la Repubblica", 1992).

Come l’eterno critico che gioca a eseguire il suo numero su un filo proteso sul vuoto e sulla morte”, Giorgio il Manga cedeva alle gore dell'astrazione; si misurava con ciò che è L'Espace littéraire, il non-luogo del possibile tra una parola e l’altra; discuteva delle pure idee, ma antiplatonicamente, accorgendosi poi di saperli pensare, quei ragionari sinuosi, soltanto dopo averli pronunciati, irresponsabilmente.

“In questo stesso momento in cui io parlo, una parte di me sta ascoltando, con affettuosa deplorazione, e ascoltandomi coglie ogni tanto delle parole e dice toh, lo sapevi tu di pensare questo?, no, non lo sapevo” (conversazione all’Università). Ecco la qualità accattivante, “insidiosa, aggressiva, e soprattutto estremamente elusiva" della conversazione. Era naturale, allora, parlare “d'altro”, andare fuori tema, cominciare un discorso e poi farsi sedurre lungo la strada dal prestigio delle parole, dalle illecebre della sintassi, dalle allucinazioni della struttura della frase, che portano verso immagini, verso frammenti interiori, frammenti di qualcosa che noi non conosciamo...”     

 


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