"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003

 


Interviste impossibili  di Giorgio Manganelli

 

 

 

 

2.  Bordelli di pupille

 


Al cinema il sesso c’è sempre stato,

 solo che adesso è anche sullo schermo

Thomas

I teatri sono sentine d'impurità e di disonestà; il De spectaculis di Tertulliano ci aveva informato a riguardo, non lo si può negare. Nulla toglie, dunque, si possa estendere l’anatema anche al cinema, in ispecie a quello “a luci rosse”. Certo, Manganelli era assai meno quacchero nel dipanare il suo personalissimo riserbo;  anzi, lo si sarebbe detto addirittura spiazzante per l’arguta clemenza:

C’è chi sostiene che la gente che va a vedere quelle cose è una folla di torbidi sporcaccioni; oh, non credeteci. […]Io penso piuttosto che coloro che frequentano codesti locali ci vanno per istruzione, e dunque per fini didattici che non mi sentirei di condannare – giunge pure un momento in cui si deve dire ad un garibaldino o a nonna Felicita che gli stivaletti con le stringhe non sono incorporati con la gamba, e si possono anche togliere. Altri vanno in codesti miti, finti, un po’ imbroglioni lupanari per un motivo più profondo. Essi in realtà considerano il sesso un’attività superata, qualcosa che aveva senso al tempo degli sceriffi e dei maggiordomi. Un film porno per costoro sta tra il western e il film in costume… (Improvvisi per macchina da scrivere). 

Un cinema pedagogico? Perché no; per quanto poi -avendo già prestato servizio militare- in nulla amato. Nessuna matiné allietata da Giovannone e Ubalde in caserma, molto meglio un film saputamene sciocco, culturale -antichi romani- favoloso- fastoso e languido Oriente- pudicamente sexy: la protagonista principessa d'Oriente sapeva fare esattamente tre movimenti, e tutti e tre con gli occhi; alzarli al cielo per indicare angoscia e perielio ("adesso l'amor mio me l'ammazzano"), abbassarli per indicare conquiso e complice pudore, occhi dritti per tutto il resto. Una cosa distensiva, colta, a colori (Lunario dell'Orfano Sannita).

E pensare che proprio Tertulliano pretendeva di far arrossire i senatori più navigati, per via di certa -a suo dire- insindacabile immoralità offerta sotto specie di gesto tattico allo spettatore incantato. “Arrossite […] e quelle donne che ormai hanno infranto il senso e il principio del loro onore e della loro dignità, nel timore che esse hanno di presentarsi in piena luce al cospetto di tutto un popolo, arrossiscano di vergogna, per quei loro gesti immorali, almeno una volta in un anno. Se ogni forma di volgarità e di bassezza deve esser colpita dalla nostra maggiore esplicita esecrazione, come potrebbe esser lecito udire ciò che non ci è possibile di dire?”  

Più pacatamente Manganelli, invece, insisteva: 

A Roma, ci sono alcuni locali che si sono specializzati in film che essi definiscono hard-core, della “luce rossa”, in un onesto quanto preciso tentativo di essere scambiati per luoghi di malaffare, postriboli, bordelli, lupanari, saloon, barbieri e manicure. L’impressione è che una larga fetta di pubblico nazionale abbia scoperto il sesso; uomini stempiati, signore abbonate da trent’anni alle riviste di lavori all’uncinetto hanno avuto notizia dell’esistenza del sesso e, poiché ogni ignoranza non è tollerata, pagano tremila lire e vanno nel locale a luci rosse. Sono persone calme, generalmente diffidano di ciò cui assistono, com’è ragionevole diffidare delle imprese del mostro giapponese Godzilla” (Improvvisi).

E giungeva a lambire persino il tono del capopopolo arringatore, dell’agitprop da comizio in certi vertiginosi picchi political-sociologici, raggiunti in certe considerazioni inattuali: 

“Non so quel che si vede nei club milanesi –a Milano di porno conosco solo i ristoranti- ma nei locali a luci rosse di Roma si possono perfino vedere delle giarrettiere, anche se di tipo economico, perché il porno non vuole essere classista” (Improvvisi).


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