"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003


 


 

 

 

Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e W. A. Mozart

 

 

6. I ferri del mestiere

 


Rubiamo quasi tutto da Della tragedia antica e moderna (1714) di Pier Jacopo Martello, in cui uno “Pseudo-Aristotele” detta tutti i precetti possibili. Provando così a regolare un genere sregolato di natura come il libretto d’opera, si dirà  ad esempio (e con le diecimila eccezioni del caso) che il DECASILLABO è stentoreo e solenne. 

Dice infatti la Statua:

 

Non si pasce di cibo mortale

chi si pasce di cibo celeste;

Altra cure più gravi di queste,

Altra brama quaggiù mi guidò!

 

Ma  son spesso decasillabi anche i versi del furore “nella sua maggiore terribilità”, e perfino del delirio. Canta per esempio Leporello:


La terzana d'avere mi sembra

E le membra fermar più non so.

 


L’OTTONARIO: è il verso principe che si fa cantare in infinite maniere: Tra mille possibili esempi: V'han fra queste contadine, Cameriere, cittadine, V'han contesse, baronesse, Marchesine, principesse. E v'han donne d'ogni grado, D'ogni forma, d'ogni età...

 

Lo stesso vale per il SETTENARIO. Canta Don Giovanni: Là ci darem la mano, Là mi dirai di sì. Vedi, non è lontano; Partiam, ben mio, da qui.. - E Zerlina subito dopo tra sé: (Vorrei e non vorrei, Mi trema un poco il cor. Felice, è ver, sarei, Ma può burlarmi ancor.)

Si noti ora una finezza: qui Don Giovanni è un seduttore trionfante, i suoi versi hanno quindi accenti forti su ogni prima sillaba: “ ci darem la mano, mi dirai di sì. di, non è lontano…”; Zerlina, morbida e già sedotta, tra incertezza e lusinga, non ha accenti forti (e canta “legato”).

 


Il QUINARIO SDRUCCIOLO calza bene alle “languidezze amorose” . Ecco come Zerlina consola Masetto:

 

È un certo balsamo

Ch'io porto addosso,

Dare tel posso,

Se il vuoi provar.

Saper vorresti

dove mi sta?

Sentilo battere,

toccami qua!


In generale, i VERSI SDRUCCIOLI, sia quinari che settenari, sono da tenersi buoni anche per le scene magiche in cui si evoca il soprannaturale. Don Giovanni già quasi tra le spire dell'inferno:

 

Da qual tremore insolito

Sento assalir gli spiriti!

Dond'escono quei vortici

Di foco pien d'orror?

I VERSI TRONCHI sono ottimi per chiudere la strofa e quindi l’aria. Ancora Don Giovanni:

Sù! svegliatevi da bravi!

Sù! coraggio, o buona gente!

Vogliam star allegramente,

Vogliam ridere e scher-zàr!

 


Gli ENDECASILLABI diverranno vieppiù importanti nelle opere in cui, soprattutto nei recitativi ma non solo, si dialoga:

 

LEPORELLO:
Madama... veramente... in questo mondo

conciossiacosaquandofosseché...
il quadro non è tondo...


DONNA ELVIRA:

Sciagurato!

Così del mio dolor giuoco ti prendi?…


 

Il librettista deve poi sapere se sta scrivendo un'aria “escita (il contrario di quel che si immagina: arie che si attaccano mente si esce dalle quinte e si entra in scena!), “media (il cantante è già in scena e dopo un recitativo canta), o un “ingresso (il contrario dell' “escita”): i primi due tipi son da usare con parsimonia, mentre è sempre bene finire una scena con una bella aria che abbia “spirito e vivezza”. – Perché nessun s’annoi, è bene che le arie si susseguano cercando la massima varietà di passioni, e MAI facendo cantare di seguito due arie che parlino degli stessi affetti; ma l’ira succeda al languore, il trionfo allo sperdimento. Le scene vanno poi legate, per fluidità d’azione e superiore armonia, secondo una tecnica che chiameremo semplicemente “liaison des scènes”.

Particolarmente da curare siano i finali d’atto, in cui si deve saper far convergere in scena tutti i cantanti e dove si deve dare spazio – qui è proprio Da Ponte che parla – a “ogni genere di canto. L’adagio, l’allegro, l’andante, l’amabile, l’armonioso, lo strepitoso, lo strepitosissimo.” (Memorie). Nel finale d’atto devono darsi non solo diversità di canto ma di metro: chi canterà senari, chi ottonari, chi decasillabi, e così via.

 


 

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