"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003


 

 

    8. Odor di femmina!

 

Zitto, mi pare

sentire odor di femmina...

 

Cospetto, che odorato perfetto!” esclama allora Leporello a questa ennesima dimostrazione che quella di Don Giovanni è proprio una vocazione: anche se non riconosce l’odore di Donna Elvira sente pure sempre del tutto alla cieca “odor di femmina”! – Pur senza togliere nulla al naso del Libertino, e certo senza osare malignità alcuna sulla pulizia della nobile Donna Elvira, va detto che nel Settecento un certo odorino più pregnante anche dalle parti intime non era certo raro.

La prima pagina (la più bella?) di un romanzo che hanno letto molti ci regala una variante molto musicale e divertente del “catalogo” dell’opera buffa: “La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze,

puzzavano le chiese, c’era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l’apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d’estate che d’inverno.” (P. Süskind, Il profumo).


Ah, cosa avrebbe fatto Rossini di un elenco così!

Ma torniamo alla faccenda dell’odore: chi ha letto il romanzo di Süskind sa che la “filosofia” del profumo era di aggiungere un odore sopra il proprio naturale: così, le donne, in quel Secolo che, benché dei Lumi, non aveva ancora inventato né lo shampoo né le mutande, usavano circondarsi le parti intime, sotto l’ultima delle sottogonne, con una cintura di sacchetti d’erbe e fiori profumati che, chiusi secchi in stoffe leggere, permettevano di diffondere la loro florealità assieme a quanto madre natura di suo liberava dalla carne.

Nella sua Fuga dai Piombi, Casanova racconta che, buttato in cella col suo miglior vestito, dovendo fabbricarsi una lampada e mancandogli stoppa per lo stoppino, prese quella dell’imbottitura che il sarto aveva messo sotto le ascelle – attenzione – per evitare che il sudore macchiasse il vestito… 


L’afrore ascellare era del resto per Casanova l’“arma fine di mondo”… Quando andava a un convegno con una nuova dama non ancora persuasa all’amore, si curava prima di passare ben bene il suo fastoso fazzoletto di merletto sotto le ascelle, ascelle naturalmente non lavate da chissà quando. Il fazzoletto s’impregnava così indelebilmente dell’“odor di maschio” che pare lo contrastinguesse alquanto… 

Riposto il fazzoletto nella manica, al momento in cui il colpo omicida non poteva più essere rinviato, iniziava a sventolare con non-chalance luciferina quel fazzoletto odoroso di virilità sotto il naso della bella, che a tanto si ritrovava invariabilmente spersa in un deliquio di libidine soavissima.

L’esempio di Casanova serve a capire, a noi ignavi dell’odore che temiamo già la timida ascella alzata in autobus ma non sentiamo l’acido del benzene, che quelle “puzze” non erano allora affatto tali, ma appunto promettentissimi “odori”.

E’ celebre l’imperioso “Non lavatevi” di Napoleone alla sua Giuseppina dai denti gialli. Gli uomini erano del resto in generale un po’ più animalescamente dotati, e il discorso potrebbe su questo punto andare avanti parecchio…

 


 

 

            

  

 

 

 

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