"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003


 


 

 

9. Il medico di campagna

25 settembre 1917. Kafka scrive nel diario: “Temporanea soddisfazione mi possono dare ancora lavori come Il medico di campagna, presupposto che una cosa simile possa ancora riuscire (molto improbabile). Ma felicità solo nel caso in cui io possa sollevare il mondo nel puro, nel vero, nell’immutabile.”

La parola “immutabile” (come “indistruttibile”) è una delle parole-koan dei diari di Kafka. Calasso, in “K”, ci avverte che c’è un passo biffato – uno solo – in cui “immutabile” sostituisce “divino”…  - Se non divino, almeno profetico fu per Kafka proprio il racconto del Medico, per quell’apparire e sparire della ferita sul corpo del povero malato. Il racconto fu scritto nella casetta della Alchimistengasse nell’inverno del 1916-17. Pochi mesi dopo, Kafka ebbe il primo sbocco di sangue.

 

La stessa medicina contemplava il caso di una malattia che, prima inconsciamente desiderata e covata, giunge infine a manifestarsi. Kafka parlò spesso della ferita del Medico come di una “ferita profetica”

Sulla tubercolosi, famosa la parabola con cui la raccontò, nel 1920, a Milena

 

“Ecco, il cervello non riusciva più a tollerare le preoccupazioni e i dolori che gli erano imposti. Diceva: ‘Non ne posso più; ma se c’è ancora qualcuno cui importi di conservare il totale, mi tolga un po’ del mio peso, e si potrà campare ancora un tantino’. Allora si fecero avanti i polmoni, che, tanto, non avevano molto da perdere. Queste trattative fra il cervello e i polmoni, che si svolgevano a mia insaputa, devono essere state spaventevoli.”

La cerimoniosa educazione del cervello, quel chiamare la vita appena come il “totale”, e il “campare ancora un tantino”, e il “non avevano molto da perdere”…