"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003

Racconti di Kafka

Caratteri grandi


 

 

Altroché se Kafka aveva idee chiare come editore. Da una lettera alla “Casa Editrice Kurt Wolff” del 14 agosto 1916: “…in compenso chiedo il piacere di far uscire La condanna in un volumetto a sé. E’ vero che La condanna alla quale tengo in modo particolare è molto breve, ma è anche più poesia che racconto, quindi ha bisogno di molto spazio intorno a sé e merita che le sia concesso”.

 

Poiché ciò che si stampa è la figura grafica d’una voce che dice, come uno spartito lo è di un canto. Quell’abbondare si spazio bianco attorno a caratteri abbastanza grandi da far stare poche parole in ogni riga, fa pensare a un certo rapporto che deve sempre esistere tra la parola che si dice e il silenzio che non solo deve accoglierla, ma che la parola stessa deve saper suscitare. La faccenda del rapporto tra silenzio e parola è ovviamente un bel rompicapo. Proprio su questo, del resto, Kafka concluse la sua carriera e la sua vita. Vedi l’ultimo racconto, Josephin la cantante e il popolo dei topi, dove si legge: “; noi si tace come se avessimo ottenuto la pace sospirata che, se non altro, i nostri stessi fischi ci precludono. Ci delizia il suo canto o non piuttosto il solenne silenzio che circonda quella debole vocina?”

 

Sulla faccenda di essere stampato in caratteri grandi, chiarissima una pagina di Kundera: 

 

“Il desiderio di Kafka era giustificato, logico, serio, legato alla sua estetica o, più concretamente, al suo modo di scandire la prosa.

L’autore che dive il suo testo in tanti piccoli paragrafi non insisterà troppo sulla grandezza del corpo: una pagina riccamente articolata è di lettura abbastanza agevole.

Al contrario, il testo che fluisce in un paragrafo infinito è assai poco leggibile. L’occhio non trova luogo in cui sostare a riposarsi. Per poter essere letto con piacere (vale a dire senza fatica per gli occhi) un simile testo esige lettere relativamente grandi, tali da rendere agevole la lettura e da consentire di fermarsi in qualunque momento per assaporare la bellezza delle frasi.” 

(M. Kundera, I testamenti traditi).

 

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