"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

 Marlene Dietrich: parole per la Musa


 

 

9.  L'ape e il tiranno

 

 


 

“Non verserò lacrime su di lui.”

(M. DIETRICH, Marlene D.)

 

 

Nel mezzo d’una notte ventosa, a una rassegna cinevideo di Trieste, Enrico Ghezzi raccontò anche di Fritz Lang: di quando gli confidò di quanto vagheggiasse, fino alla struggenza, il controllo totale del set: “avessi potuto, avrei scelto anche il partner con cui la Diva avrebbe fatto l'amore la notte prima di un ciack... anche quello cambia la luce...”.

La storiella è coerente con l'icastica Dietrich che del mitico demiurgo di Metropolis e di M, disse secca: “E' un tiranno” – e non un nazista solo perché ebreo.

 

“Fritz Lang ci imponeva ogni passo, ogni respiro, tutto quanto con un sadismo che sarebbe piaciuto a Hitler, se Lang, ebreo tedesco, non fosse sfuggito al nazismo per riparare in America. Si comportava da tiranno. Non avrebbe esitato – e potemmo constatarlo – a scavalcare un cadavere”; “L’avrei strangolato volentieri; i suoi ordini non avevano né capo né coda”; “Fritz Lang ci imponeva ogni passo, ogni respiro, tutto quanto con un sadismo che sarebbe piaciuto a Hitler, se Lang, ebreo tedesco, non fosse sfuggito al nazismo per riparare in America. Si comportava da tiranno sconclusionato . Non avrebbe esitato – e potemmo constatarlo – a scavalcare un cadavere” (M. DIETRICH, Marlene D.).

In Rancho Notorius (1952) si vede il miglior film a colori di Marlene, anche se lei pensò sempre di aver lavorato per “un’opera assai mediocre” (ib.). - A parte le patologie registiche di Lang (“i suoi ordini non avevano né capo né coda”), Marlene ne faceva un fatto di stile: preferiva al technicolor da fumetto di questo B-movie feroce, il calcolatissimo - e costoso - ton sur ton del kolossal Il giardino di Allah (R. Boleslawsky,1936), premiato a suo tempo con l’Oscar per la migliore fotografia, con attori in sahariana che si muovevano tra dune di sabbia fatta portare a camionate in un set gigantesco dal leggendario David O. Selznick (per scoprire poi che la sabbia era grigia… e che per questo tutti gli esterni del film dovevano essere girati ancora una volta...).

Nel film di Lang, la Dietrich fa l’ape regina di un rancho che è il bignami del west mitico. Ci sono cow-boys fuorilegge, il poker, i cavalli da domare; vi si covano vendette, si ascolta la donna cantare, si preparano rapine.

 

Marlene pare non più che obbediente al film: ma è bello vederla passare, nel niente d’uno stacco di montaggio, da jeans del tutto maschili (niente a che fare con quelli fasciantissimi della Monroe nella Magnifica preda) a fantastici abiti da Via col vento - e questo senza dubbio solo per amor proprio: ché i vaccari che la circondano e le fanno da corte pare non si cambino neppure il fazzoletto al collo per settimane.

 

°*°

 

Per chi conosce il cinema di Lang (M e Furia su tutti), Rancho Notorius racconta ancora una volta l’eccesso della vendetta dell’uomo che per trasformarsi in giustiziere decade a criminale: restando tra tedeschi, è sempre la storia del Michael Koholaas (1810) di von Kleist: per noi italiani da liceo, un Renzo Tramaglino che, invece di affidarsi mitemente a un frate, risponde al male subito secondo il principio dell’occhio per occhio.

 

Un po’ come sarà nei western all'italiana, non ci sono i paesaggi clamorosi di John Ford o di Anthony Mann, che tanto bene sarebbero venuti su una pellicola da 75 mm. (formato wide che proprio Lang liquidò con qualcosa come: è buono per riprendere un cadavere in una bara…), ma un luogo chiuso e tragico, che i critici amano confrontare con la casa da gioco di un’altra ape regina mitica - Joan Crawford - del ben più fiammeggiante Johnny Guitar di N. Ray, (1954).

 


 

torna su

 

 

torna a