"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

Marlene Dietrich: parole per la Musa


 

 

15. Usa-Germany 

 

 

 

 


 

“Che ne sa una donna di politica?...”

(B. WILDER, Scandalo internazionale)

 

Gli uomini e le donne, di cui [Hitler] si era

accattivato la fedeltà e l'ammirazione, non

si erano mai messi al seguito di una visione

bensì di una forza. ( J. C. FEST, Hitler)

 

I berlinesi sono troppo cinici.

(A. HITLER, cit. in J. C. FEST, Hitler)

 

Ecco cosa vuol dire saper stare sugli eventi, e con quanta impagabile libertà! L’ebreo galiziano Billy Wilder (gran parte della famiglia uccisa ad Auschwitz) e la tedesca antinazista Marlene Dietrich (che si arruolò contro i compatrioti fedeli al Fürher) confezionano con Scandalo internazionale (1948) un film in cui gli americani vincitori – specie se repubblicani e puritani – sono bersaglio della satira tanto quanto gli imperdonabili tedeschi.

Marlene-Erika, ex-gran dama che negli anni della svastica trionfante andava a teatro - e a letto? - con Hitler, è ridotta a cantare Black Market in un localaccio dove gli alcolici si pagano con le sigarette, mentre i vogliosi soldati dei quattro eserciti vincitori mischiano ancora balli cori e desideri. Ma la lezione di Marlene già nei sette film di von Sternberg è che si può decadere fino all’infimo della miseria restando regale in tutto. Anche irritantemente.

Allora pare davvero che la differenza tra una regina e una puttana sia tutta nell’occhio dello stolto. - Tanto più che, vivendo in una Berlino ridotta a cenere, le urgenze sono assolute e drammatiche e andare per il sottile è lo stesso che suicidarsi.

Mancando ogni cosa, la politica si riduce a economia domestica: il tempo di una bomba che precipita da un aereo fin dentro una casa, e ci si ritrova in fondo, al grado zero del baratto e della prostituzione (la stessa storia, in minore, è riassunta nel flash-back sul passato di Marlene Dietrich nell’altro film interpretato per Wilder, Testimone d’accusa, del 1957). 

Semplicemente miracoloso che in tanta miseria si conservi quel segno tutt’altro che superfluo di sé che chiamiamo stile. 

I moralisti sono marziani portati da un aereo direttamente dall’America più impietosa e bigotta. Lo scopo: rimettere in riga i soldati già troppo contaminati dalla imprevedibile joie de vivre di Berlino, Sodoma ridotta in macerie non abbastanza, “città pericolosa” dove si fa l’amore, si beve e – addirittura - “dove la gente fuma l’hashish” (C. CROWE, Conversazioni con Billy Wilder).  E proprio Marlene dello spirito berlinese ha scritto:  “uno spirito tagliente, secco, realistico, che ti manda a impiccarti e sa ridere di sé; un umorismo tragico, che non ha niente di sacro e non ha pietà di se stesso. il gergo berlinese è tra i più efficaci e audaci che esistano” (M. DIETRICH, Dizionario di buone maniere e cattivi pensieri).

*°*

La deputatessa Frost (Jean Arthur) arriva a Berlino per impedire che gli americani facciano l’amore con le tedesche: ha idee semplici sulla vita, sul bene e sul male, crede nella marmellata fatta in casa e ha il codice Hays nel DNA: è incorruttibile e convinta di stare dalla parte giusta. Facile immaginarla tra qualche anno ferventemente maccartista. In fondo, è una campagnola dello Iowa, dove “certe cose sono impensabili” (Ib.), che però ha idee imbarazzanti ma tetragone su come dovrebbe funzionare il pianeta. Se la cosa ricorda qualcuno, non è colpa nostra.

Quando si incontra con Erika-Marlene, “due mondi agli antipodi”, pare che le due donne “non appartengono allo stesso film”(Ib.)

Wilder e Brackett, equanimi e perfidi, fanno sentire nel passaggio dall’ex-nazista alla deputatessa, in quanto a fascino, eleganza, cultura e buon gusto, un salto indietro di secoli. La deputatessa Frost è in tutta evidenza una nipotina non pentita dei puritani della Lettera scarlatta! Sarebbe grave se liberassero l'Europa, oltre che dal fascismo, da se stessa. - Il che fortunatamente non è: Billy Wilder, re degli happy end acidi, fa infatti uscire di scena la dama nazista scortata da uno stuolo di soldati americani fin troppo festanti di starle accanto.

*°*

Va da sé che Erika-Marlene è una fuoriclasse non solo rispetto a una deputatessa americana di campagna, ma ai suoi stessi connazionali: grigi, depressi, storditi, impoliticamente condizionati al punto da rispondere agli anglo-americani ancora nei modi ritualizzati dalle gerarchie del Reich (su questo vedi le Conclusioni di Fest alla sua celebre biografia: “l'ambito della politica da sempre è stato affidato in esclusiva allo stato”; proprio di questa “estraneità tedesca alla politica” Hitler seppe fare una forza, e solo “Auschwitz è stato per così dire il naufragio del mondo privato tedesco e del suo autistico oblio di sé”, J. C. FEST, Hitler) .

il ritratto cambierà nell’altro film berlinese di Wilder, Uno, due, tre! (1961: vedi caso, proprio alla vigilia della costruzione del Muro), dove un manager americano (James Cagney) amministra la filiale della Coca-Cola a Berlino disponendo di dipendenti talmente militarizzati da far ricordare persino l’Alfieri della Vita che vide subito nella Prussia una grande e inguaribile “caserma”.

 


 

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